Al detto ‘braccia rubate all’agricoltura’, purtroppo, è sempre associato un significato negativo dimenticando che, dove ci sono braccia, ci sono non solo menti e cuori ma anche valori, tradizioni, identità, storia. E da un certo punto di vista la storia della Sardegna, un tempo ‘granaio’ di Roma e poi sede dell’industria più pesante e selvaggia, è proprio quella di una terra vittima di una specie di furto del secolo che ha devastato l’ambiente e travolto tradizioni millenarie, lasciando un conto salatissimo da pagare tanto in termini economici quanto culturali.
Ma perché parlare oggi di queste cose rischiando l’inutilità del senno di poi? Perché forse al termine di un lunghissimo ciclo è tornato il momento di chiedersi che tipo di Sardegna vogliamo, guardando al futuro e mettendo a frutto le lezioni del passato. Fra queste lezioni ce ne sono almeno due che arrivano dalla Gallura: i 93 anni di un Sindaco di Olbia, come Saverio De Michele, che nel 1961 seppe dire no all’insediamento di un polo petrolchimico (“perché avrebbe provocato la fine del turismo”) e la morte di Andrè Ardoin, avvocato belga e braccio destro dell’Aga Khan, che, un anno dopo, sarebbe stato fra i fondatori del Consorzio Costa Smeralda.
Qualcuno, insomma, pensava già dagli anni ’60, che un’altra Sardegna fosse possibile e perfino molto migliore di quella che poi molte generazioni hanno conosciuto attraverso le sigle della Sir, di Eni e via elencando. Forse più che qualcuno ed anche in buona compagnia. In quegli anni, Alghero si affermava come la ‘porta d’oro’ del turismo sardo aprendo la strada ad un mercato internazionale e la stessa Cavalcata Sarda fu inventata allora dall’Azienda di soggiorno di Sassari come traino dell’offerta turistica. Di esempi se ne potrebbero raccontare ancora tanti, ma uno su tutti merita di essere citato e riguarda gli studi preliminari del primo Piano di Rinascita che poggiavano, appunto, sul ‘pilastro’ dell’agricoltura proseguendo, in qualche modo, la politica del Fascismo delle grandi bonifiche e della modernizzazione del lavoro nei campi. Quegli studi furono poi stravolti con gli esiti che sappiamo.
Si può vedere attualità ed intravedere un futuro in questo passato? La risposta alla domanda ci porterebbe lontano ma diciamo che, per una serie di cose che sono accadute nel mondo ed anche in Sardegna, oggi si può discutere molto sulla nostra presenza in Europa e di certi effetti collaterali della globalizzazione e si può lavorare molto sulla tutela delle bio-diversità e delle identità culturali. Forse la storia, insomma, sta dando alla Sardegna una seconda possibilità.
SardoSono
(admaioramedia.it)
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