Paolo Maninchedda nasce democristiano e questo forse spiega gli interrogativi sul suo futuro post-dimissioni, un ritorno allo studio ed all’insegnamento cui nessuno crede davvero, e sulla sua (ri)collocazione politica in qualcuno dei poli o meglio ‘altrove’, come farebbero pensare alcune sue tesi in verità piuttosto confuse: indipendentista ma non secessionista (per farla breve) in un quadro istituzionale che, a Costituzione e a Statuto vigenti, non porta da nessuna parte.
L’aspetto forse però più interessante riguarda un ragionamento che, in qualche modo, mette in fila i profili politici di quanti, da Soru in poi, hanno cercato di immaginare una Sardegna diversa e possibilmente più forte nei rapporti con lo Stato. Si parte da Soru, dunque, che col governo ‘amico’ di Prodi ritenne di risolvere meglio alcuni grandi problemi (sanità, continuità territoriale, trasporto pubblico locale) facendosi dare competenze e soldi dallo Stato. Abbiamo visto com’è andata a finire: dopo più o meno 10 anni la Regione è spiaggiata proprio su quei problemi.
Adesso c’è Maninchedda che, alle tre grandi questioni, vorrebbe aggiungere anche Anas, Entrate (ci aveva già provato Soru con le “tasse sul lusso”), dighe e molto altro: tanta (forse troppa) roba. Però, come dicevamo in apertura, non si sa come, né con chi. Perché si possono anche avere buone idee, a patto che siano chiare e capaci di marciare su strade percorribili, ma poi bisogna anche avere la forza ed il consenso per metterle in pratica. Poi c’è Pigliaru, il legittimista, quello che continua a credere nella “leale collaborazione” anche dopo che il Governo ‘amico’ con una mano dà poco e con l’altra toglie di più. E, nel mentre, la maggioranza tira continuamente la giacca fino allo strappo. Cosa hanno in comune Maninchedda e Pigliaru, così vicini e così lontani? Che hanno litigato con Soru, in epoche diverse e con motivazioni differenti. In questo hanno avuto ragione.
SardoSono
(admaioramedia.it)