Nell'immediato dopoguerra, con lo Statuto speciale ‘fresco di stampa’ e Cagliari ancora alle prese con le profonde ferite dei bombardamenti Alleati del 1943, bisognava costruire dalle fondamenta le istituzioni regionali. Un processo lungo e complicato, che fece del Capoluogo regionale un grande polo di attrazione rispetto al resto dell'Isola e non solo, anche sotto la spinta del ‘boom’ economico degli anni '60 e dei Piani di Rinascita del decennio successivo. Grandi flussi demografici che, sul piano interno, si registrarono dalle campagne verso i nuovi poli industriali e in misura ridotta verso Olbia e la Gallura con la Costa Smeralda.
Altri tempi, altro mondo.Anche oggi, tuttavia, Cagliari potrebbe tornare ad essere per la Sardegna una sorta di grande ‘magnete’, ma, purtroppo per la Sardegna, in un contesto decisamente diverso, molto più povero innanzitutto e con un tessuto industriale al collasso, che faticosamente cerca di recuperare il terreno perduto a causa della crisi economica. Il ‘magnete’ è rappresentato dallo status di città metropolitana, un’occasione che il governatore Pigliaru ha voluto cogliere al volo dopo che la legge Delrio, pensata per riempire lo spazio lasciato vuoto dall'eliminazione delle province e via via trasformatasi non in un nuovo modello istituzionale italiano, ma in un accrocco ‘all’italiana’ che non ha precedenti in Europa e forse provocherà più problemi di quelli che voleva risolvere e più costi di quelli che voleva tagliare.
In Sardegna, poi, potrebbe determinarsi una situazione ancora più paradossale. Cagliari potrebbe trasformarsi, grazie al combinato disposto della riforma degli enti locali che sta per approvare il Consiglio regionale e vari ‘pezzi’ della normativa nazionale, in una specie di mostro con più teste ed il deserto attorno. Il Capoluogo, infatti, oltre ad essere sede della nuova città metropolitana (il cui sindaco, in base alla riforma costituzionale, sarà anche senatore ‘di diritto’), dovrebbe diventare sede dell'unica Autorità portuale della Sardegna (come ha già deciso il governo Renzi) e dell'unica Asl della Regione (come ha in mente il governatore Pigliaru). Cosa dire? Forse neanche Soru sarebbe arrivato a tanto. Questo non vuol dire rimpiangerlo, sia chiaro, Resta però il fatto che le riforme ci vogliono, ma è sbagliato farle andando a sbattere contro la storia. E quella della Sardegna è sicuramente una storia di autonomie (al plurale), non troppo diversa da quella italiana sotto questo profilo, che non possono essere ingabbiate in un contenitore dirigista all'ennesima potenza che, oltretutto, non è nemmeno di sinistra e non piace nemmeno alla destra.
SardoSono
(admaioramedia.it)