Del 28 aprile 1794 che, con la cacciata dei piemontesi, ha aperto il decennio rivoluzionario noto come la Sarda Rivoluzione “ci resta l’ardimento e il sogno di una Sardegna libera, aperta al mondo, bastevole a se stessa, ma proprio per questo capace di dialogare – da pari – con gli altri Stati, le altre nazioni d’Europa e del mondo”. Lo scrive il presidente dell’Anci Sardegna Emiliano Deiana ai sindaci sardi, in una lettera in cui cerca di analizzare l‘attualità delle odierne celebrazioni di Sa die de sa Sardigna in corso di svolgimento nelle sedi istituzionali, a livello regionale e locale.
“La strada tracciata da Giovanni Maria Angioy, da Michele Obino; il sacrificio di uomini coraggiosi come Francesco Cilocco ci insegnano che la strada dell’autodeterminazione e dell’autogoverno è lunga e piena di ostacoli; insegnano (o dovrebbero insegnare) che non esistono, al di là del Tirreno, “governi amici” per la Sardegna, esistono, semmai, interlocutori da rispettare e dai quali esigere rispetto”, scrive il sindaco di Bortigiadas ai colleghi, ricordando le grandi vertenze ancora irrisolte tra Stato e Sardegna: “La vertenza entrate (che riguarda e deve riguardare anche gli “avanzi di amministrazione” e i tagli subiti dai comuni dal 2009 ad oggi); il diritto alla mobilità e a spostarsi dalla Sardegna per il mondo; le bonifiche ambientali dei 24mila ettari dei siti inquinati; le servitù militari e il diritto della Sardegna a costruire politiche di pace, di progresso e di piena occupazione per le comunità che ospitano e hanno ospitato poligoni e servitù; il diritto, stabilito dallo Statuto, ad avere una scuola a “misura di Sardegna” attraverso la quale insegnare la storia della nostra Terra, la sua Lingua e le sue varianti; il diritto, anche questo sancito dallo Statuto, ad avere istituzioni locali che abbiano il comune e le comunità al centro del sistema istituzionale sardo e la consapevolezza che la collaborazione fra istituzioni sia un diritto da perseguire e non un obbligo da imporre”.
Secondo Deiana bisogna ripartire da quanto Giovanni Maria Angioy scriveva nel 1799. Ovvero dalla consapevolezza che “malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione”.
“Forse da qui dovremmo ripartire nella riflessione del ruolo della Sardegna al centro del Mediterraneo – conclude il presidente dell’Anci Sardegna -: un ruolo che può affermarsi solo se sappiamo chi siamo stati nella Storia e, per dirla usando le parole di Antonio Gramsci di cui si celebra l’ottantesimo anniversario della morte, se saremo in grado, tutti insieme, di “accelerare il futuro“. (red)
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