Nell’Isola, l’arte e la cultura sono una questione di ‘non forza’, non di sapere. Nell’isola chi dovrebbe proteggere l’autonomia e la produzione artistica locale è mosso da ego e vanità politica, per questo non mi sconvolge che a San Pietroburgo (più che a Cagliari), si stia brindando per l’accordo tra Regione Sardegna, Museo Ermitage, Polo Museale della Sardegna (ma non polo accademico), Fondazione Banco di Sardegna e Comune di Cagliari.
Non mi stupisce la gioia mediatica dell’Assessore regionale del Turismo, Barbara Argiolas, che con entusiasmo promette l’ennesima mostra sulla civiltà Mediterranea. Mostra e accordo hanno come fondamenta i tre milioni d’opere d’arte dell’Ermitage. Pensate a un ricco mecenate russo, o a un turista borghese della cultura di San Pietroburgo, in visita turistico balneare a Cagliari, perché dovrebbe trovare interessante visitare l’Ermitage a Cagliari? Perché per l’ennesima volta, martellarci i neuroni, con una mostra sulla civiltà Mediterranea, nell’unica città mediterranea e metropolitana d’Europa e del mondo, priva di ‘Alta formazione artistica’ residente? Ho la triste sensazione, che come sempre da millenni in quest’isola, il riso sardonico accompagnerà la celebrazione della propria memoria che scompare.
La storia è sempre la solita, la Regione non può (o non vuole) dare di più, i privati si sostituiscono alla Regione, e naturalmente la programmazione artistica si affida all’Ermitage, che esponendo i suoi pezzi a Cagliari ne incrementa e consolida il valore storico, archeologico e di mercato. Se si provasse a ragionare in altre direzioni? Russia, Francia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti hanno ben altra modalità di ragionamento sulla loro produzione artistica e la loro cultura. Facile fare gli Scozzesi, i Catalani, i Corsi, i Gallesi e gli Irlandesi con la cultura degli altri, in realtà la Sardegna si distingue nel panorama culturale e artistico italiano, come eccellenza del suo modello di mediocrità. Una Regione a statuto autonomo potrebbe finalmente muoversi, comprendendo quanto sia falso, che la cultura locale per esistere e legittimare la propria specificità, necessiti del privato, che dovrebbe limitarsi a sostenere e nutrirsi del pubblico. Negli Stati Uniti, il patrimonio artistico è nutrito e mantenuto dallo Stato con risorse pubbliche federali, sono le risorse pubbliche che preservano equilibri di mercato, le donazioni sono prassi sociale e culturale nell’interesse comune. Non si gioca a confondere le acque, chiamando mecenati gli sponsor. Lo sponsor è un mecenate che sul pubblico fa profitti, il mecenate è colui che compie un atto di generosità, la generosità del mecenate non prevede la contropartita, è un investimento verso il pubblico e gli interessi comuni. In Francia, il mecenatismo (tra competenze, capitale e beni culturali) materializza il 26% del bilancio economico annuale, valore assoluto del bilancio economico francese, pari all’intero bilancio del patrimonio nazionale Italiano. C’è qualche problema. Al Louvre c’è una carta etica per le relazioni con i donatori: nessun potere decisionale, artistico e museografico, questo perché un patrimonio comune, deve essere altro rispetto al mercato. Altrimenti su quali basi fonda il mercato turistico della conoscenza della propria cultura?
Possibile, che la valorizzazione della propria autonomia e specificità culturale passi per l’Ermitage? Un polo museale come quello fiorentino, oltre agli Uffizi, Pitti e il Bargello, vede tra i soggetti anche l’Accademia di Belle Arti di Firenze. A Cagliari, l’Accademia di Belle Arti dove è mai stata? Un’ultima crudelissima verità: indimenticabile la pessima riforma del Titolo V della Costituzione. Nel 2001, con il governo del centrosinistra, allora ‘stuprato’ dal vento federalista della Lega, l’articolo 114 della Costituzione venne modificato con un batter di ciglia: la Repubblica diveniva, non più ‘ripartita’, ma ‘costituita’ da enti diversi. Cioè, lo Stato non aveva più un peso maggiore rispetto a Regioni, Città Metropolitane e Comuni, si lasciava la legislazione dei beni culturali allo Stato, ma valorizzazione, promozione e organizzazione venivano demandate alle Regioni. In altre parole, l’assenza di un’Accademia di Belle Arti di Cagliari è questione soltanto regionale, comunale e della Città metropolitana. Si può pensare che, invece di formarle localmente, si debba contare su relazioni internazionali e pezzi pregiati dell’Ermitage? Si può pensare di porsi nell’ambito di tali relazioni internazionali (a uso e consumo dell’Ermitage), forti esclusivamente della propria cultura nuragica?
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)