I Vescovi sardi aprono all’uso della “limba” nella celebrazione della Messa. Dopo lo scambio epistolare con il direttivo della Fondazione Sardinia, in particolare dopo la lettera aperta con cui il docente di Diritto del Lavoro Gianni Loy, all’inizio del 2016, aveva rilanciato la questione della Messa in sardo, la Conferenza Episcopale Sarda presieduta da monsignor Arrigo Miglio ha affrontato ufficialmente la questione della “lingua Sarda nella pietà popolare e nella liturgia”, annunciando la sua disponibilità a fare un un primo tentativo di richiesta di autorizzazione alla Santa Sede per l’introduzione del sardo nella celebrazione delle Messe nell’isola. Un’apertura che, guarda caso, arriva a pochi giorni dalla celebrazione de Sa die de sa Sardigna, la festa del popolo sardo, quando lo stesso monsignor Miglio celebrerà in Cattedrale la Messa solenne accompagnata dal suono delle launeddas e dai canti sardi.
Nella riunione dello scorso 4 aprile i vescovi isolani hanno confermato l’interesse della Conferenza Episcopale Sarda “a valorizzare sempre più la lingua sarda nella pietà popolare e nella liturgia, sulla scia di quanto stabilito dal Concilio Plenario Sardo, oltre che nel rispetto delle norme e delle procedure prescritte dalla Santa Sede in materia”.
Accogliendo le sollecitazioni pervenute da un dialogo tra il presidente della Conferenza Episcopale e il direttivo della Fondazione “Sardinia” – si legge in una nota della Ces – la Conferenza ha individuato alcune piste da seguire nel prossimo futuro.
Il primo punto riguarda i riti e le pratiche che formano la cosiddetta pietà popolare, per i quali i vescovi sardi hanno ribadito che non vi sono norme universali da seguire o autorizzazioni da richiedere alla Santa Sede. “È un campo che ricade nell’esclusiva competenza dell’Autorità Ecclesiastica locale che trova nella Conferenza Episcopale Sarda la convergenza e la collegialità di tutti i Vescovi, i quali sposano e incoraggiano ogni sana ed equilibrata iniziativa volta all’utilizzo della lingua sarda nelle due principali varianti: quella campidanese e quella logudorese”. I Vescovi hanno annunciato a questo proposito che “si coinvolgeranno studiosi di lingua sarda, di tradizioni popolari e di teologia liturgica, perché predispongano e propongano testi adeguati. Senza dimenticare che in questo campo la Sardegna ha un patrimonio sterminato di testi, di canti e di tradizioni, che hanno bisogno solo di essere ripresi e valorizzati”.
Diverso è ovviamente il discorso per la celebrazione della Messa in lingua sarda, tema più complesso che richiede viceversa l’approvazione della Santa Sede. Ma anche a questo proposito la Conferenza Episcopale Sarda ha dimostrato una imprevista apertura ipotizzando di fare una temporanea richiesta alla Santa Sede (“ad experimentum”) alla quale seguirebbe, se vi fossero le condizioni, la richiesta di approvazione definitiva.
Per poter avanzare la richiesta ad experimentum – ha fatto sapere la Ces – si dovrà predisporre la traduzione in lingua sarda della Bibbia con una ricognizione critica delle tre traduzioni finora prodotte, ad opera di linguisti e biblisti, scelti dalla Conferenza Episcopale Sarda, la traduzione dell’Ordinario della Santa Messa e la traduzione di una decina di “Messe proprie”, relativamente ai tempi liturgici, alle Solennità del Signore e alla memoria dei Santi. “Come per i riti della pietà popolare, la traduzione dei testi sarà fatta nelle due principali varianti della lingua sarda, campidanese e logudorese – si legge nella nota dei Vescovi sardi – . Il materiale prodotto sarà esaminato dalla Conferenza Episcopale Sarda, prima della presentazione della domanda di approvazione ad experimentum alla Santa Sede”.
Nel corso della riunione la CES ha nominato per il prossimo triennio la Delegata Regionale dell’Azione Cattolica Italiana, la professoressa Giovanna Fancello della Diocesi di Nuoro. (red)
(admaioramedia.it)