A dicembre, il neoeletto segretario del Partito dei Sardi, Paolo Maninchedda, nel congresso tenutosi ad Alghero, ha rilanciato il discorso indipendentista, declinandolo però in maniera diversa rispetto agli altri partiti indipendentisti: cade il muro contro muro degli indipendentisti contro i cosiddetti partiti ‘italianisti’.
Maninchedda, come pure il presidente del partito, Franciscu Sedda, essendo uomini culturalmente di spessore e politicamente avveduti, si sono resi conto che l’obbiettivo di una Sardegna stato indipendente, vista anche la disastrosa esperienza della Catalogna, è, al momento, pura utopia. Perciò, pur non rinunciando alle proprie finalità, hanno prospettato un’azione politica gradualista che non disdegna affatto una convergenza, non solo con gli altri movimenti indipendentisti, ma anche con tutti i partiti nazionali nella misura in cui sono disposti a battersi per istanze che siano in ogni caso a favore dei Sardi. Discorso di grande apertura e certamente encomiabile. C’è però un ma… dice Maninchedda: “Siamo disposti a dialogare con tutti, eccetto che con i fascisti”. Veramente non è chiaro a chi col termine “fascisti” si riferisca, presumiamo a Fratelli d’Italia. I ‘camerati’ sardi di Bruno Murgia e di Paolo Truzzu se ne faranno una ragione.
Quello che fa sorridere è che nel secolo scorso, ovvero dopo la caduta del fascismo, ad essere considerati fascisti erano proprio gli indipendentisti isolani e non senza una qualche ragione. Alla fine del 1943 l’ex deputato sardo-fascista Paolo Pili, non ancora inviato al confino dalla Commissione per l’epurazione (cosa che avverrà nel luglio 1944), fonda il Partito autonomista sardo, che ha tra i suoi maggiori esponenti l’avvocato Giovanni Deriu, l’ingegnere Salvatore Annis e il veterinaio Ettore Cocco. Il partito aveva un programma alquanto nebuloso: coniugava libertà civili con istanze stataliste e auspicava lo sviluppo economico e amministrativo dell’Isola. Ma il Prefetto di Nuoro, in una relazione del 16 dicembre 1943, non ebbe dubbi: definisce il partito di Pili separatista, indipendentista e fomentatore di iniziative tendenti ad incorporare la Sardegna negli Stati Uniti d’America. Opinione condivisa dal senatore comunista Luigi Pirastu, che in uno scritto del 1975 così rievocava quel periodo: “Era vivo in quegli anni (1943 e i primi mesi del 1944) in Sardegna il timore del separatismo, che avrebbe nel concreto significato la riduzione dell’Isola ad una piccola repubblica marinara… In tal senso non erano tanto preoccupanti le posizioni separatistiche di alcuni sardisti, quanto piuttosto quelle di certi movimenti, di tendenze di destra… come quello diretto ad Oristano da Ettore Cocco…”.
Che il movimento di Pili non fosse proprio esiguo lo attesta un comunicato del Comitato antifascista della provincia di Cagliari, pubblicato nel quotidiano “L’Unione Sarda” del 21 novembre 1943: “Dobbiamo però dolorosamente constatare che in qualche comune, anche importante, mentre si chiudono gli occhi per riunioni di noti fascisti, specialmente se hanno assunto la veste di separatisti, si spinge il controllo delle riunioni private indette dai comitati antifascisti fino ad una ridicola grettezza, che non può che dipendere dalla intima amicizia che continuamente, pubblicamente e si potrebbe aggiungere ostentatamente, certi funzionari lega agli uomini del passato regime…”. In quel periodo fu assai forte anche la corrente indipendentista del Psd’az, fortemente osteggiata da Emilio Lussu, tanto da determinare, nel 1945, il commissariamento della sezione cagliaritana del partito e l’espulsione dell’ex segretario provinciale Giovanni Maria Angioy e di numerosi altri iscritti. L’episodio è da collegarsi alla grande manifestazione avvenuta in piazza Jenne a Cagliari, il 18 gennaio 1945, contro il richiamo alle armi indetto dal Regno del Sud per andare a combattere contro i tedeschi e i fascisti di Salò. In quella manifestazione, confluirono oltre i fascisti, un gran numero di sardisti e persino dei comunisti della vicina sezione di via Manno, fra cui Antonio Tinti, che si era fatto due anni di carcere per attività antifascista e che fu accusato di aver lanciato, nel corso della manifestazione, la bomba a mano che uccise un agente di Polizia.
Ma il clou dell’indipendentismo lo si raggiunse con la fondazione a Roma, nel 1946, della Lega Sarda ad opera di un vecchio sardista antifascista: Bastià Pirisi. La Lega, su posizioni separatiste e nazionaliste, si schierò subito contro Lussu e il Psa’az, accusati di essersi alleati al Partito (italianista) d’azione. Secondo Lussu, la Lega era composta da ex sardo-fascisti, tuttavia era appoggiata anche da Camillo Bellieni, che, a fascismo caduto, si era ritrovato nemico della resistenza e monarchico. La Lega partecipò alle elezioni per la Costituente del 1946, ma prese solo 10.000 voti e l’anno successivo scomparve. Ebbe anche un giornale: “La voce di Sardegna”. Nel suo ultimo numero del febbraio 1947, Pirisi scrisse che il fascismo sardo era composto da persone oneste. Il che portò a lui, e alla sua Lega la taccia, indelebile di filofascismo.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)
One Comment
Alessandro Dessì
Solo per dire che l’esperienza catalana non è affatto disastrosa: lasciate tempo al tempo e vedrete che è tutto fuorchè utopica.