Qualcuno in Italia racconta che la Sardegna è un’isola. In Sardegna sembrano essersene dimenticati nel nome della massidiozia determinata dai social network, che tutto omologa e appiattisce.
In quest’Isola, ogni artista sardo è isola nell’isola, isolato nella sua stessa comunità, impossibilitata a determinarsi come cifra culturale identitaria e simbolica, e questo isolamento, di fatto, sta annientando linguaggi, saperi e competenze che in quest’Isola si trasmettono da millenni. La storia dell’arte isolana sembra impossibile da raccontare in maniera fluida, è una moltitudine di dettagli e punti di vista che paiono impossibilitati a connettersi per raccontarsi; omissioni colpevoli, trame e intrighi che sembrano determinare verità storiche sbagliate e discutibili se comparate con l’altrove. Qualcosa di definito e non ancora defunto è possibile analizzarlo, prima di tutto il fatto che in quest’isola la creatività e l’arte siano, in questo passaggio di millennio, prevalentemente donna, da Maria Lai a Jole Serreli, da Caterina Lai ad Annalisa Achenza, da Rosanna Rossi a Monica Lugas, dalle Lucido Sottile a Barbara Ardau, da Silvia Argiolas a Silvia Mei. Si potrebbe tracciare una storia dell’arte al femminile tra iconografia e iconoclastia da fare invidia a tutto il pianeta terra, non per nulla questa è la terra della Dea Madre.
Possiamo definire anche altre specificità, alcune attestate dall’archeologia: Giovanni Patroni, napoletano, direttore del Museo archeologico nel 1904, individuò, a ragione, la civiltà nuragica come la prima civiltà del Mediterraneo centro occidentale. In quest’isola nasce la scultura a tutto tondo tra il IX e l’VIII secolo a.C. coi Giganti di Mont’e Prama. In quest’isola, con i bronzetti nuragici, tra il IX e il VI secolo a.C., hanno determinato la rivoluzione espressionista, hanno turbato Picasso e determinato Giacometti: un bronzetto nuragico, quello itifallico, racconta come nell’isola nuragica già esistesse la polifonia con le launeddas, mentre in Francia e Inghilterra la polifonia fu registrata soltanto dopo il 1000 d.C., una rivoluzione polifonica che con i Nuragici c’era già stata. Il suonatore itifallico testimonia anche, con il suo pene in erezione mentre emette suoni, come la seduttività dei linguaggi dell’arte alimenti la fertilità e la prosperità.
Questa è potenzialmente la Sardegna. Quest’isola con i suoi linguaggi ha attraversato millenni, è l’isola del bisso, estratto di fibra animale dalla pinna nobilis, mollusco che secerna fili, la seta di mare è fornita grezza dalla materia, lavata in acqua dolce, sbiancata con l’acido naturale del limone e filata a mano. Ancora ci sono maestri del bisso, e sono donne, perché la creatività in quest’isola è donna da sempre: Assuntina e Giuseppina Pes e Chiara Vigo hanno reso Sant’Antioco avanguardia culturale dei fasti e dei saperi dell’isola.
A proposito di Sant’Antioco, quando verrà riconosciuto al maestro Gianni Salidu il suo ruolo nella storia dell’arte isolana? Quanti Giganti si vuole continuare ad abbattere e sommergere per ricominciare sempre dal punto zero della civiltà nuragica al servizio del migliore offerente? Il muralismo politico in quest’isola, arriva insieme al Liceo Artistico di Cagliari, nel 1968 con Pinuccio Sciola (che al “Foiso Fois” ha anche insegnato), che da San Sperate innescò una reazione d’arte a catena: a Orgosolo si mosse il collettivo anarchico Dyonisos e nel 1975 si trasferì da Siena Francesco Del Casino, che riqualificò i muri con colori e contenuti; nel 1976, a Villamar arrivarono i pittori dissidenti cileni, Alan Joffré e Vriel Darvex.
Oggi, l’Isola sembra, anche dal punto di vista amministrativo istituzionale, avere rinunciato a proseguire quei fermenti d’autodeterminazione culturale e identitaria, che, ad oggi, sono stati l’unico momento artisticamente pregno di movimenti del secolo passato, l’unica visione d’insieme sembra essere quella del folk agropastorale ad esotica dimensione turista balneare. Eppure, basterebbe poco a proteggere e rivitalizzare nel tempo tutto: un museo a cielo aperto dell’arte residente a dimensione turista e due Accademie di Belle Arti (a Cagliari e Sassari) che sappiano essere nodi e tamponi istituzionali nell’interesse culturale del territorio tutto, dinanzi alle derive di un mercato sempre più connesso e omologato. Servirebbe nel nome di una Regione a statuto autonomo un piano programmatico regionale che impedisca di uccidere la Dea Madre, in una terra da sempre fertile all’arte e ai suoi linguaggi, nata per essere avanguardia del Mediterraneo.
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)