Si fa sempre più incombente lo spettro di una nuova emorragia di posti di lavoro al Porto canale di Cagliari. Un’emergenza che interessa gli oltre duecento lavoratori mobilitati in queste ore in presidio permanente davanti al varco dogana dello scalo industriale.
Un’agitazione che arriva proprio quando sembrava giunto un primo timido spiraglio di luce sulle sorti dello scalo con il parere favorevole della conferenza di servizi e il conseguente via libera a una nuova autorizzazione paesaggistica per la struttura, superando così l’annosa situazione di incertezza che gravava sul porto sin dall’annullamento della precedente autorizzazione originata dalla controversa sentenza del Consiglio di Stato del 2000. Una sentenza che poneva in discussione l’esistenza stessa di uno scalo che, a parere dell’organo di giustizia amministrativa non avrebbe mai nemmeno dovuto nascere, e che oggi invece sembrava poter cominciare in concreto a sperare in una nuova fiducia per i progetti bloccati dalla sentenza e in nuove prospettive di un rilancio complessivo della struttura o quantomeno in un nuovo inizio per gli operatori coinvolti. Un parere, quello della conferenza di servizi, che ha comunque il pregio di rendere possibile l’avvio di un nuovo iter per la concessione di una nuova autorizzazione che adesso ha il placet degli enti coinvolti: l’Autorità del Mare di Sardegna, il servizio di Tutela del paesaggio della Regione Sardegna, il Consorzio industriale della provincia di Cagliari (Cacip) e la Capitaneria di porto.
Eppure, diventa impossibile prefigurare scenari di un nuovo sviluppo per il porto Canale se ai suoi veri protagonisti, cioè i lavoratori delle banchine, non viene restituita la certezza della stabilità del proprio posto di lavoro e la dignità dello stipendio, oggi un miraggio per i dipendenti della Cict ancora in attesa della mensilità di maggio e per i lavoratori Iterc ormai prossimi allo stesso drammatico scenario. Una situazione che da tempo preoccupa l’universo marittimo isolano, da sempre impegnato in difesa dei circa 700 lavoratori dello scalo, tra dipendenti diretti e dell’indotto, tutti accomunati dalla stessa angoscia per la chiusura definitiva della struttura, con il baratro ulteriore di un inarrestabile corollario di ricadute negative a cascata per l’intero territorio isolano. Una spirale incontrollabile al ribasso che sta scritta nei numeri fallimentari registrati negli ultimi anni dal porto industriale, con un più che emblematico crollo degli approdi che negli ultimi anni è stato pari all’80%. Una situazione di per sé drammatica e appesantita se possibile ancor di più dai venti di guerra che soffiano con prepotenza in direzione del concessionario dello scalo Contship, a sua volta vittima in verità della bocciatura del porto industriale cagliaritano da parte del proprio cliente unico Hapag Lloyds, che di fatto ha deciso di portare altrove il già assottigliato carico che ancora restava appannaggio di Cagliari. Una situazione descritta come gravissima dagli stessi operatori del Porto container, che da tempo denunciano con angoscia il pericolo per la Sardegna di un’impennata dei costi del trasporto delle merci in arrivo e la paralisi di questo scalo cruciale.
A conti fatti, il drammatico stato di salute dello scalo industriale cagliaritano sta tutto nella rabbia dei lavoratori, testimoni involontari e vittime in carne e ossa delle tante occasioni sciupate, delle tante promesse non mantenute e delle tante parole a vanvera pronunciate da politica e istituzioni su un complesso portuale che avrebbe dovuto essere il simbolo e il traino della rinascita economica e industriale di Cagliari e della Sardegna e che oggi invece affoga davanti al volto disperato di chi non riesce più a scorgere un futuro per sé e la propria famiglia.
Nicola Silenti
(sardegna.admaioramedia.it)