L’Italia potrebbe in pochi anni ridurre di quasi il 50% la propria dipendenza energetica dall’estero. Ma questa prospettiva non piace al popolo “No trivelle”, che si sta mobilitando per bloccare il programma di sfruttamento dei consistenti giacimenti di petrolio in Adriatico.
A capitanare l’ennesimo movimento regressista che si diffonde in Italia sono i Consigli regionali di Marche, Puglia, Molise hanno approvato le delibere per i referendum abrogativi sulle parti normative dei decreti Sblocca Italia e Sviluppo che consentono attività di ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi. A breve arriveranno le analoghe delibere di Abruzzo, Sicilia, Calabria (nel frattempo, è arrivata anche quella del Consiglio regionale della Sardegna, ndr). La chiara intenzione è quella di cavalcare l’ondata di demagogia di “No trivelle” fomentata dalle associazioni ambientaliste. C’è di che rimanere sbigottiti. E per tre ottime ragioni: 1) perché parliamo di Regioni in crescenti difficoltà economiche e con una disoccupazione giovanile da capogiro (con le royalties si potrebbero, tra le alte cose, abbassare le tasse locali); 2) perché l’alta bolletta energetica pagata dall’Italia per la sua dipendenza dagli approvvigionamenti dall’estero aumenta i costi delle imprese e ne abbassa la competitività; 3) perché la riduzione delle bollette avrebbe non pochi effetti (positivi) sui bilanci delle famiglie.
«Nell’arco temporale di 10-15 anni – disse tempo fa a “Tempi” Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli Italia – l’Italia potrebbe diventare una potenza energetica sfruttando i propri giacimenti a terra e in mare con una soddisfazione del fabbisogno nazionale del 47 per cento. Consideri che dopo l’estrazione vi è indotto di raffinazione, logistica, oleodotti, rete carburanti». Intendiamoci, non si può certo trivellare il mare Adriatico senza pretendere l’adozione di misure che riducano al minimo l’impatto ambientale. Ma, un conto è imporre alle compagnie l’adozione di tecnologie a bassa incidenza sull’ecosistema e sul paesaggio, un altro conto è gettare a mare (è proprio il caso di dirlo) una preziosa opportunità di sviluppo. Ma, evidentemente, per il popolo “No trivelle” – come anche per il popolo “No Tav” e per tutti i popoli del “No” che hanno ostacolato essenziali opere pubbliche nell’Italia degli ultimi 15 anni – piangere, contestare e lamentarsi risulta più comodo che darsi concretamente da fare per superare la crisi e tornare ad accettabili standard di prosperità. E mentre l’Italia torna ostaggio della demagogia, la Croazia si prepara a sfruttare l’opportunità offerta dall’Adriatico. Anche la Grecia si sta muovendo. La crisi, i greci, l’hanno conosciuta in modo tragico. E non rimangono più vittime di troppi indugi ideologici.
Aldo Di Lello – Secolo d’Italia (22 settembre)
(admaioramedia.it)
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