La sanità è oramai in pieno sfacelo. Nel servizio più importante, come il Pronto soccorso di Cagliari, medici, infermieri, operatori sociosanitari, radiologi etc… sono sotto organico. Il paziente, oramai sistematicamente, prima di entrare al triage, sia in barella che a piedi, deve aspettare molto tempo: può variare da 10/20 minuti a diverse ore.
Una volta che finalmente viene valutato lo stato di salute inizia il vero calvario, poiché non viene praticata alcuna terapia del dolore né altro trattamento necessario nell’immediato, a meno che uno non sia in pericolo di morte imminente. Spesso e volentieri, diciamo quotidianamente, si verificano casi ‘allucinanti’ di pazienti, che dopo parecchie ore di attesa, esausti dal dolore e presi dalla disperazione rientrano nelle proprie abitazioni e purtroppo a volte la conseguenza di questo può essere anche di morte per malasanità. Altri ancora esasperati vanno in ‘escandescenza’ rischiando un ulteriore peggioramento dal punto di vista della salute oltre al rischio di essere denunciati dal personale dell’ospedale.
Questi, ormai, sono casi di ordinaria amministrazione e il personale dei Pronto soccorso può sembrare indifferente, ma ci sono turni snervanti e poche risorse utilizzate per ogni turno. Ci sono ambulanze ferme, cinque/sei alla volta, anche per più di 8/12 ore, senza alcuna distinzione tra pazienti con o senza presidi medici (spinale, collare, materasso a depressione), nonostante ci siano protocolli rigidi e chiari che andrebbero seguiti e che invece così provocano ulteriori danni e disagi al paziente. Inoltre, bisogna considerare che avendo tante ambulanze ferme negli ospedali si corre il rischio di tenere il territorio scoperto, con conseguenze evidenti. Manca l’organizzazione, il personale, le strutture. Arrivare al Pronto soccorso dovrebbe essere come giungere in una isola di salvezza e invece molto spesso è una doppia condanna. Le storie che vengono raccontate fanno rabbrividire e nel mondo del soccorso ci sarebbero da scrivere libri su queste problematiche, si dovrebbero chiamare a testimoniare i nostri soccorritori del servizio 118, che in Italia sono utili ma inutili, indispensabili ma odiati, e diventano il terrore del triagista poiché aggiungono lavoro al suo lavoro. Spesso e volentieri trattano codici rossi e gialli che dovrebbero essere di competenza delle medicalizzate, ma che purtroppo sono insufficienti nel territorio e con mezzi obsoleti, come nel caso di pochi giorni fa, quando un mezzo di soccorso avanzato (medicalizzata) si è incendiato e per puro miracolo non è accaduto il peggio al paziente o all’equipaggio, considerando che all’interno spesso ci sono alcune bombole dell’ossigeno.
Una tra le tante domande possibili: “perché tenere il paziente nella barella?”. Le lettighe dei Pronto soccorso dove sono finite, dove sono stivate? Sono forse inesistenti? I soccorritori sono persone come noi, lavoratori che gratuitamente prestano servizio per il bene della comunità tutta, e diciamo pure che senza di loro sarebbe una catastrofe. Perciò bisognerebbe dare a questi ‘nostri fratelli’ dei giusti meriti, innanzitutto per chi milita almeno cinque anni, con tutti gli attestati, la possibilità di accedere all’università senza passare dal blocco del test di ammissione per medici infermieri e le altre categorie sanitarie. Dovrebbe essere un diritto acquisito predisporre un nuovo percorso formativo universitario per ‘soccorritori specializzati’, diciamo paramedici, cosi da far salire il livello di servizio per tutti affinché possano ‘fare’ veramente. Sarebbe anche giusto che quando non sono in servizio, attraverso un documento di riconoscimento, possano entrare in reparto senza vincoli. E che il termine ultimo di un soccorritore non sia l’età anagrafica, ma l’idoneità a prestare servizio volontariamente al 118 e alla Protezione civile.
Alessandro Sorgia – Consigliere comunale di Cagliari
(admaioramedia.it)