Per la 359^ volta, la Sardegna si appresta a festeggiare il suo Patrono, Sant’Efisio, martire cristiano del III secolo dopo Cristo, che nel 1656 liberò l’Isola dal flagello della peste. La storia di Efisio è evocativa e densa di richiami alla nostra attualità: nato nella città di Antiochia di Siria, subì il martirio per non aver voluto rinnegare la fede cristiana a cui, da pagano e soldato romano, si era convertito.
Fu decapitato, come tanti epigoni moderni, cristiani e musulmani, che in questi ultimi anni vengono brutalmente uccisi in quella terra di Siria e in altri paesi del Medio Oriente, flagellati dalla follia estremista, supportata dall’Occidente per destabilizzare territori di grande interesse economico e strategico.
Lungi da cogliere tali suggestioni, il giovane Sindaco di Cagliari ha, invece, dichiarato di voler dedicare la festa “alle vittime del naufragio nel Canale di Sicilia“. Intendiamoci: la morte di centinaia di persone è un avvenimento tragico, che muove a pietà e compassione. Ma non ci sovviene il collegamento tra questa disgrazia e le celebrazioni del Santo Patrono dei Sardi. Ci pare, insomma, una sparata propagandistica e fine a se stessa, in linea, d’altro canto, con quella della Trimurti sindacale, che quest’anno celebrerà la festa dei lavoratori del 1° Maggio in Sicilia, terra di sbarchi, e la dedicherà ai ‘migranti’.
Certo, l’emergenza degli sbarchi va affrontata nelle sue cause fondanti, con la volontà di risolvere questa tratta di uomini che “rende più del traffico di droga”(cit.). Perché, lungi dal potersi paragonare al fenomeno dell’emigrazione italiana dei secoli scorsi verso le ricche e ancora spopolate America e Australia, il fenomeno a cui assistiamo oggi è una vera ‘delocalizzazione’ a tappe forzate di manodopera a basso costo, che non garantisce alcun futuro ai nuovi arrivati e rende ancora più difficile e incerto quello degli Italiani.
Alla luce di ciò, nella nostra ingenuità, ci saremmo aspettati che i sindacati celebrassero, quest’anno più che mai, il Lavoro: quello di chi ce l’ha ancora, seppur sempre più in bilico, tra precarietà e compressione dei diritti, e quello che manca, che non si trova e la cui privazione uccide ogni giorno tanti Italiani, per stenti e vergogna, ovvero li costringe a lasciare la propria Terra.
E con la stessa ingenuità, avevamo pensato che Sant’Efisio potesse rimanere la ricorrenza-simbolo della nostra Isola, nella sorprendente e coloratissima varietà dei costumi e delle tracas che arrivano da ogni paese, a celebrare la gratitudine al Santo, certo, ma anche la forza e la pervicacia delle tradizioni e della identità delle nostre genti, che vogliono resistere ad una crisi che qui in Sardegna ha caratteri di durata e profondità ancora più drammatici rispetto al resto della Nazione. Ma ci sono poveri e poveri; disperati e disperati; migranti e migranti: alcuni sono troppo vicini e pallidi per suscitare la compassione di politica e sindacati.
Medusa
(admaioramedia.it)