Nasce a La Maddalena il 5 febbraio 1907 e da ragazzo si dà alla narrativa scrivendo racconti che parlano del mare e dei pescatori che lottano contro le avversità della natura. Poi, Mario Baffico si trasferisce a Milano per gli studi universitari, esercitando i più disparati mestieri per mantenersi agli studi.
Al contempo coltiva la sua passione per il cinema, dedicandosi alla sperimentazione del colore. Con Alberto Lattuada gira un documentario d’avanguardia dedicato al futurismo e al suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti, intitolato “Il museo dell’Amore”. Baffico trasforma a un certo punto questa sua passione per il cinema in vera e propria professione, anche se scarsamente remunerativa e organizza a Milano il primo cineclub italiano e prepara sceneggiature per conto terzi.
Le sue condizioni di vita sono assai precarie, al limite della sopravvivenza, fintantoché il regista Alessandro Blasetti non lo assume come secondo regista per la lavorazione del film “Vecchia guardia”. Assunzione determinata dal fatto che Blasetti era stato favorevolmente colpito da un libro scritto da Baffico: “Profili di Hollywood, dei e semidei del Novecento”. A partire dal 1935, appena ventottenne ottiene un buon successo con i documentari “Giovinezza” e “Giornata al campo”, di chiara impronta fascista, ma del tutto privi di ogni retorica propagandistica. Nel 1936 esordisce col suo primo film “La danza delle lancette”, a sfondo sportivo e dai toni leggeri. Il successo è buono, ma Baffico non si accontenta e dopo un felice incontro con Luigi Pirandello, imposta un soggetto tratto da alcune novelle del grande commediografo: “Terra di nessuno”. Morto Pirandello, il film è realizzato da Baffico in collaborazione con lo scrittore Corrado Alvaro e con lo stesso figlio di Pirandello, Stefano. Proiettato nel 1938, ottiene uno strepitoso successo in Italia e al’estero per le sue notevoli qualità artistiche, e, a seguito della sua proiezione nelle università americane, il quotidiano “New York Times” esalta il “background” realistico del regista sardo.
A Cagliari, il responsabile del Cineguf, Marcello Serra , nel corso di un dibattito fra studenti universitari e pescatori della cooperativa “Sant’Efisio”, cosi commenta il film: ”Quando è dato di vedere un film come questo, in cui si descrivono aspetti umili della vita del nostro popolo, pensiamo che proprio là, in quel’inesauribile fonte di soggetti, occorre cercare trame per il cinema nazionale”. Seguono nel 1939 “Mare”, nel 1940 “Incanto di mezzanotte” e, infine, nel 1942 realizza un lungo cortometraggio “I trecento della Settima”, dove descrive con toni sommessi e per nulla trionfali le vicende d’armi degli alpini in Albania.
Dopo l’8 settembre segue nella Repubblica sociale italiana il fondatore della cinematografia nazionale Luigi Freddi, che crea nel Lido di Venezia la ‘Cinecittà’ di Salò. Nel 1944-45, produce tre film, “L’immagine bugiarda”, “Ogni giorno è domenica” e “Trent’anni di servizio”, nonché un documentario sugli alpini che, però, non riuscì a portare a termine. Il film “Ogni giorno è domenica” ha una colonna sonora opera di Ennio Porrino, anche lui residente a Venezia insieme a tanti altri illustri sardi, fra cui Stanis Ruinas, Cipriano Efisio Oppo e Vincenzo Lai. Il dopoguerra fu alquanto amaro per Baffico: fascista convinto, rifiutò di riciclarsi e di rinnegare il passato. Sbarcò il lunario girando qualche documentario e facendo dei lavori televisivi. La moglie, Barbara Monis, che per lui aveva sacrificato un promettente carriera nel teatro e nel cinema, lo affiancò sempre e senza rimpianti.
Nel 1953, realizzò, grazie all’aiuto di alcuni amici sardo-liguri, il film “Amanti senza peccato”, che, per le enormi difficoltà finanziarie, poté essere distribuito solo nel 1957. Fu completamente ignorato dalla critica ufficiale, nonostante prospettasse uno stile decisamente innovativo. Scomparve il 17 giugno 1972, a 66 anni e la sua morte venne quasi ignorata dai mass media dell’epoca: poche avare righe su qualche quotidiano, nessun cenno nella Tv di Stato, silenzio assoluto nelle riviste specializzate.
“Aveva avuto il torto di scegliere la Rsi: nel 1944 andò a Venezia per girare due film nel ‘cinevillaggio’ improvvisato nei giardini della Giudecca. Nello stesso periodo, segnato dalla divisione dell’Italia in due, contribuì al Nord alla rifondazione del nuovo istituto Luce. Una carriera, iniziata con prospettive di successo nella ‘Cinecittà’ inaugurata da Mussolini nel 1935, si arenò definitivamente a Salò…”. Questo è l’unico commento che abbiamo trovato sulla vita di Mario Baffico, opera di un appassionato e studioso del cinema, l’ex giornalista comunista dell’Unità, il cagliaritano Giuseppe Podda.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)