LIBIA, Mentre famiglia Piano resta in silenzio, parla moglie di Failla: “Liberazione pagata con il sangue di mio marito”

Restano avvolte nel mistero le circostanze della morte a Sabratha in Libia del tecnico di Capoterra, Fausto Piano, e del siciliano Salvatore Failla, avvenuta appena 24 ore prima del rilascio degli altri due colleghi rapiti (Filippo Calcagno e Gino Pollicardo) nello scorso mese di luglio nella zona di Mellitah, vicino a Tripoli, dove si trovavano a lavorare per conto della Bonatti, ditta impiegata nella costruzione di impianti petroliferi per conto dell’Eni

Ma mentre la famiglia Piano ha deciso di vivere nel silenzio il proprio dolore, seppure il rifiuto ad incontrare il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, per ricevere le condoglianze manifesta un chiaro segno di insofferenze nei confronti delle Istituzioni, la moglie di Failla parla per bocca del suo avvocato: «Lo Stato italiano ha fallito: la liberazione dei due ostaggi è stata pagata con il sangue di mio marito – ha detto attraverso Francesco Caroleo Grimaldi, legale della famiglia – Se lo Stato non è stato capace di riportarmelo vivo, ora almeno non lo faccia toccare in Libia, non voglio che l’autopsia venga fatta lì».

La prima versione giunta dalla Libia, quella che li vede utilizzati dall’Isis come ‘scudi umani’ durante i combattimenti con le milizie libiche, non ha trovato ancora adeguati riscontri, anche perché i testimoni libici riferiscono dettagli che non si conciliano facilmente tra loro, perciò restano valide tutte le ipotesi. Compresa quella che si fosse arrivati al momento della loro liberazione dietro pagamento di un riscatto (si parla di almeno 12 milioni di euro), prassi adottata, seppure sempre negata, anche per altri ostaggi italiani, ma qualcosa per i due tecnici uccisi non sia andata per il verso giusto. (red)