Partivano da tutta la Sardegna alla ricerca di un lavoro ed in quelle valigie di cartone mettevano tutto dentro. C’era il pane dei pastori, di semola croccante, che per lunghi giorni avrebbe garantito il sapore di casa, e poi formaggio e salumi per assicurare un pasto nel primo tempo fuori dalla Sardegna.
Ma c’era una cosa che riempiva quelle valigie, la certezza di trovare una vita migliore e la speranza che un giorno sarebbero tornati. Erano i Sardi che negli ’50 e ’60 lasciavano la terra natia e gli affetti più cari per garantire a chi rimaneva a casa sostentamento a distanza.
Partono anche oggi, tanti figli dalla Sardegna, ma non hanno più le valigie legate con lo spago e portano zaini sulle spalle con dentro personal computer, spesso sono i genitori che li aiutano economicamente perché hanno i desideri mitigati dai tempi avversi e i sogni appena abbozzati scritti su un certifico di laurea. Magari con la loro preparazione contribuiranno a far diventare grande un’impresa del nord Italia o dell’Europa, ma non la loro terra.
Caro futuro Presidente della Regione che verrà, metta questo ‘esodo’ tra le priorità del governo della Sardegna, utilizzi ogni risorsa possibile investendo sui giovani per farli tornare, ripopolerebbe i piccoli centri e accrescerebbe in loro il desiderio di lavorare per la propria terra. Cambi questa ridicola continuità territoriale, che non consente ad un sardo immigrato di usufruirne solo perché residente fuori dalla Sardegna. Lotti per ottenere la Zona franca e se possibile restituisca dignità alle parole Regione a Statuto speciale, per troppo tempo usata a sproposito, ad esempio nella sanità, solo per mascherare inadeguatezza di chi l’ha governata.
Caro futuro Presidente della Regione che verrà, per governare la Sardegna si deve abbandonare ogni tipo di ideologia, quella che ha condizionato per troppo tempo le menti. Per governare la Sardegna occorre la buona politica, le qualità dei migliori, le capacità di tanti, ma soprattutto tanto cuore.
Biancamaria Balata
(admaioramedia.it)