La recente approvazione dell’aggiornamento del Piano dei flussi migratori per il 2019 (“Rinnoviamo il nostro impegno a favore della rete dell’accoglienza e dell’inclusione”, ha spiegato l’assessore regionale degli Affari generali, Filippo Spanu), con alcuni dati ufficiali, relativi al triennio 2015-2017, consente di conoscere gli esiti dell’attività della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale della Sardegna, che ha esaminato (e continua ad esaminare) le richieste degli immigrati.
La Commissione è composta un funzionario della Prefettura, uno della Questura, un rappresentante dell’Ente locale ed un membro dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), che, considerati i gettoni di presenza ed i rimborsi per le trasferte, rappresenta anch’essa una delle voci di costo dell’immigrazione: per esempio, nel trimestre aprile-giugno 2018 sono stati spesi oltre 13mila euro.
Tra il 20 giugno 2014 ed il 31 dicembre 2017 sono arrivati in Sardegna 22.717 immigrati, la Commissione, nel triennio 2015-17, ha esaminato poco meno del 40% delle domande (8.825), riconoscendo lo status di rifugiato solamente a 245 immigrati: appena il 2.7% degli esaminati, con un crescendo dal 2.3% del 2015 al 3.1% del 2017, quando su indicazione ‘politica’ furono allargate le maglie della ‘selezione’, ma senza grossi risultati. Al titolare di questo status è stato rilasciato un permesso di soggiorno per asilo politico (dura cinque anni rinnovabili, senza ulteriore verifica delle condizioni), avendo dimostrato, durante l’audizione, il fondato timore di subire nel proprio paese una persecuzione personale ai sensi della Convenzione di Ginevra (motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, orientamento sessuale o per le opinioni politiche). L’asilo politico consente, tra le altre cose, di lavorare, anche nel pubblico impiego, accedere al servizio sanitario nazionale, alle prestazioni assistenziali dell’Inps ed allo studio, al ricongiungimento familiare (può richiedere l’ingresso in Italia dei propri familiari senza dover dimostrare requisiti di alloggio e di reddito) e, nei tempi previsti per legge, al riconoscimento della cittadinanza italiana.
La protezione sussidiaria, che, invece, può essere concessa quando non si è dimostrato di aver subito persecuzione personale, ma sussista il rischio di subire un ‘danno grave’ (condanna a morte, esecuzione, tortura o altra forma di trattamento inumano) se l’immigrato tornasse nel suo paese di origine, è stata riconosciuta a 487 persone (5.5%). Questo permesso di soggiorno dura tre/cinque anni e può essere rinnovato solo se si verifica il perdurare delle cause, con gli stessi diritti dello status di rifugiato.
La terza possibilità, la protezione umanitaria (introdotta in Italia nel 1998), la più semplice da concedere (genericamente per seri motivi di carattere umanitario), è stata appunto quella col maggior numero di riconoscimenti: 1.900 (21.5%) in tre anni, con un forte crescendo nel triennio dal 10% del 2015 al 27.5% del 2017. Questa terza protezione (durata di un anno, rinnovabile) è stata abolita dal Decreto su immigrazione e sicurezza, il cosiddetto Decreto Salvini, approvato dal Parlamento lo scorso 28 novembre, che ha però introdotto un permesso di soggiorno (durata tra i sei mesi e due anni) per casi speciali: cure mediche; calamità; atti di particolare valore civile; protezione sociale; vittime di violenza domestica; sfruttamento lavorativo.
Come corollario di questa contabilità, da considerare che i 5.454 (61.8%) che, nel triennio 2015-2017, si sono visti respingere la domanda di riconoscimento della protezione internazionale (oltre 600 quelli che sono stati considerati irreperibili) hanno potuto presentare ricorso in Tribunale contro la decisione della Commissione territoriale, usufruendo del gratuito patrocinio (avvocato pagato dallo Stato a chi non ha i mezzi), generando un importante giro d’affari per i legali che li assistono. I ‘costi legali’, determinati dalle richieste di asilo respinte, in questi anni sono stati certamente elevati: basta considerare che, per esempio, nel Tribunale di Cagliari la parcella di un gratuito patrocinio, seppure stabilita volta per volta dal giudice, può valere almeno 1.000/1.200 euro, con un pesante incremento di uscite per le casse dello Stato. Costi, peraltro, pressoché inutili, perché la percentuale di rigetto dei ricorsi è altissima: oltre l’80%. Inoltre, fino ad aprile 2017, quando il Decreto Minniti ha abolito l’appello con la sola possibilità di ricorrere in Cassazione, si poteva arrivare fino al terzo grado di giudizio. Un aspetto che ha generato anche casi estremi, come quello dell’avvocato che, nei vesti di presidente di una onlus, prima si occupava di accoglienza nel Sulcis-Iglesiente, poi li rappresentava legalmente in Tribunale: un astuto doppio binario di business con tanti zeri.
Fabio Meloni
(admaioramedia.it)