Una ricerca dei territori e dei miracoli naturali, della bellezza, della grazia, della sincerità del vino italiano. Storie di donne e uomini dietro piccole e grandi imprese enologiche, etichette e territori più o meno famosi, ma sempre irregolari, eccentriche, talvolta irriverenti, più spesso politicamente scorrette. Questo ed altro nel libro “Dei miei vini estremi. Un ebbro viaggio in Italia” (Editore Marsilio) di Camillo Langone. Un capitolo è dedicato anche alla Sardegna. (fm)
In Sardegna senza aereo e senza nave. Ho un invito tutto spesato per la Sardegna e non ci faccio nulla, lo butto via. Perché l’anima della Sardegna è racchiusa nel suo vino e i vini sardi grazie a Dio, o magari anche grazie a Dioniso, si trovano più o meno ovunque. E non da oggi e nemmeno da ieri: in Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane, la guida delle osterie italiane pubblicata dal giornalista tedesco Hans Barth nel 1909, a Milano viene segnalato il locale «Vini Sardi», nella centralissima via Orefici. La sardità della faccenda è confermata dal cognome del titolare, Zedda. Abbiamo dunque la prova che sul continente si può bere sardo da oltre un secolo. Davvero non capisco perché sobbarcarsi viaggi di centinaia di chilometri in mare, aria e terra quando e sufficiente recarsi presso la più vicina enoteca. Oppure, senza nemmeno uscire di casa, cliccare su Tannico.it o forse ancor meglio su siti regionali come Dispensas.it e così prima ancora del vino ti gusti la lingua sarda (da patriota amo tutte le patrie, da patriota faticherei a comprare su siti anglofoni, per quanto efficienti e forniti, quali Callmewine.com e Wineshop.it). Il vino sardo dà un mucchio di soddisfazioni anche linguistiche, specie quando in etichetta i nomi finiscono con la s: Alvas, Angialis, Argiolas, Costarenas, Gabbas, Iselis, Is Solinas, Kabaradis, Karmis, Nuragus, Pontis, Ruinas, S’elegas, Tenores, Tiros, Tuvaoes, Tyrsos… Li ho bevuti tutti? No, ma che c’entra? Li ho ascoltati uno per uno! Mi piace molto anche il suono di Sardus Pater, nome di una delle poche cantine sociali per le quali io, antisociale, posso fare un’eccezione.
Fra le cantine sociali italiane mi fido solo di quelle sarde e di quelle altoatesine, forse perché tanto italiane non sono («Se tu fiderai negli italiani sempre avrai delusione», scriveva Gianni Brera fingendo di citare Guicciardini). Fuori di queste aree particolarissime mi fido giusto della Cantina produttori del Barbaresco, siccome me ne ha parlato bene Angelo Gaja. Riguardo il vino cooperativo sardo mi spingo non dico a consigliarlo, sarebbe troppo, quanto meno a tollerarlo, dopo assaggi innumerevoli, nessuno dei quali si è tramutato nella delusione di cui sopra. Mi sono cosi convinto che il conferitore di uve sardo abbia un senso dell’onore più sviluppato, o meglio conservato, rispetto al conferitore di uve emiliano, per citare una regione che conosco bene. Sono stato fortunato? E possibile, anche se l’ampiezza del campione enologico rende la possibilità improbabile. Sono propenso agli stereotipi consolatori? Non direi proprio, come tutti sono più portato per gli stereotipi negativi. Che poi questa faccenda dell’invito tutto spesato non era una boutade, un’invenzione escogitata per risolvere il problema dell’incipit: un invito spesato per la Sardegna ce l’avevo davvero. Mi avevano chiamato per presiedere un premietto di pittura in un paesetto dell’interno, e fa nulla che era tutto troppo piccolo per i miei gusti lussuosi (il premio, il paese, il compenso per me, quello per il vincitore…): ho deciso di lasciar cadere la cosa dopo essermi informato sui trasporti. Io l’aereo non lo prendo e chi dice che ho paura mi innervosisce perché devo ripetergli che sugli aerei sono salito varie volte e in un caso ho perfino pilotato (d’accordo, era un bimotore con i doppi comandi) ma che un bel giorno non a causa di un incidente bensì di una riflessione estetico-religiosa che qui risparmio all’amico lettore ho deciso di non salirci più.
Senza aereo la Sardegna richiede tempo ed energie e pazienza che non possiedo. Treno più nave? Parma-Genova o Parma-Civitavecchia sono viaggi allucinanti, con non so quanti cambi e vagonacci, e poi c’è la traversata sperando che il mare sia buono e infine l’arrivo a Olbia che non è la fine della fatica perché devi cercare un’auto a noleggio. A meno che non ti vengano a prendere gli indigeni ospitali e però in tal caso resti in loro balia, non sei più libero di muoverti, mica li posso costringere a fermarsi a ogni chiesetta com’è mio devozionale costume di instagrammer cattolico (cerco ovunque candele di cera, anziché abominevoli, apostatiche candele elettriche, per fotografarle e poi postarle sul social con la dicitura “Candele vere”). In Sardegna ci si potrebbe andare in macchina, infilandola nella pancia del traghetto. Purtroppo pur guidando dai 17 anni non ho mai davvero imparato a parcheggiare e soprattutto non ho mai imparato a farlo negli angusti parcheggi sotterranei (sottoterra o sottocoperta cambia poco). Attendo che il park assist si diffonda e si dimostri affidabile anche nelle situazioni estreme, ma non ho fretta, non vorrei perdere un piccolo alibi. Ricapitolando, niente aereo, niente treno, niente macchina, niente traghetto: niente Sardegna. E cosi mentre gli altri si affollavano sui mezzi diretti ai porti o agli aeroporti io bevevo Cagnulari e tagliavo pecorino con un coltello di Pattada, ammirando i quadri di Silvia Mei e ascoltando i brani di Iosonouncane. Ho la presunzione di aver capito di più dell’isola dei nuraghi di quanti passavano settimane sulle barche davanti Porto Cervo, magari pasteggiando a Franciacorta.
Camillo Langone (dal libro “Dei miei vini estremi. Un ebbro viaggio in Italia”, Editore Marsilio)
(sardegna.admaioramedia.it)
One Comment
il Consumatore
Quello che dice Langone è la pura verità: sulle Cantine Sociali della Sardegna ci può mettere la mano sul fuoco, per la loro serietà e qualità produttiva soprattutto da quando hanno finito di produrre per far fare bella figura ai vini toscani, piemontesi, ma anche francesi e tedeschi. Un tempo si vergognavano di qualificarsi come cantine sociali, come se ciò volesse dire qualità inferiore. Ma la fiducia può ampliarsi ad almeno il 99% dei privati, perchè da sempre, nello spirito del vitivinificatore sardo, c’è l’orgoglio di presentare un prodotto genuino, onesto, fatto con passione ed amore. Io, che vivo il mondo vitivinicolo sardo da ben 60 anni, prima come ispettore statale, poi come consulente privato, inventore della IGT Isola dei Nuraghi, posso dire che anche quando in cantina, da ispettore, trovavo il vino spunto “su forti” – dicevano -, c’era lo stesso l’orgoglio di chi non usava nessuna “medicina” e, soprattutto, che non era un vino di “cantina”, intendendo per tali solo quelle sociali ed industriali.