L’evidente imbarazzo nel celebrare l’80° anniversario della morte e il 90° dell’assegnazione del premio Nobel, verosimilmente risiede nel rapporto di Grazia Deledda col fascismo e con Benito Mussolini. Stranamente non esiste nessuna letteratura in proposito. Praticamente non esiste scrittore, artista o intellettuale del Ventennio i cui rapporti col regime e con lo stesso Mussolini non siano stati ampiamente divulgati. Su Grazia Deledda niente, se non qualche pettegolezzo. Eppure la scrittrice sarda in un suo romanzo del 1927, ambientato nella pianura padana, “Annalena Bilsini”, fa dire a un suo personaggio, parlando di scontri tra gruppi di giovani per motivi politici, ”Da noi non succedono più queste cose. Da quando c’è lui, tutti si vive in pace”. L’accenno a Mussolini è più che evidente.
Nel 1929, la Deledda fu chiamata a far parte di una apposita commissione incaricata di scegliere il libro di stato per le classi elementari. Nel 1931, fu autrice del testo per la terza classe elementare. A memoria di quanti la considerano afascista, se non proprio antifascista, riportiamo quanto da lei scritto nel testo scolastico: ”La mattina del 28 ottobre i fascisti avanzarono e entrarono in Roma, perché Roma è la testa dell’Italia, che dopo la sua splendente vittoria nella Grande Guerra era rimasta senza testa. Chi gliel’aveva tagliata?, domandò Cherubino. I comunisti. Io ho sentito parlare dei comunisti, ma non so che cosa siano, disse Cherubino. Fa conto: Tu copi il problema di aritmetica che ha svolto Sergio con fatica. Ecco che sei un po’ comunista”.
Quanto alla considerazione che il Duce aveva della Deledda, al di là dei molti aneddoti non documentati e anche al di là del telegramma, dovuto, dell’11 novembre 1927 (”Vogliate, vi prego, ricevere le mie congratulazioni in quest’ora in cui il mondo consacra la vostra gloria di scrittrice italiana”), qualcosa di più incisivo lo si ritrova nei colloqui avuti, a partire dal 1934, col suo biografo Yvon De Begnac: “…In Italia, la poesia, esclusa quella di D’Annunzio e di Marinetti, era, tra il 1922 e il 1928, poesia d’accatto, rimasticatura di leopardismo, lamento francese. Il romanzo, esclusi Bontempelli, un poco Beltramelli, molto Pirandello, Grazia Deledda e Bacchelli, non esisteva…”. Mussolini chiude con la scrittrice, si fa per dire, il 14 marzo 1945, in quel di Salò, quando inviò a Claretta Petacci una lettera nella quale tra l’altro diceva “…ti mando un bellissimo romanzo della Deledda…”. Non conosciamo il titolo del romanzo, ma dall’episodio possiamo dedurne che il dittatore una qualche stima e conoscenza della scrittrice sarda doveva averla.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)
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FaberSardo
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