Se il barcone della Giunta Pigliaru incrociasse in acque libiche, le Ong avrebbero il loro daffare. Da qualche tempo sono in molti ad abbandonare la nave. Come tanti topolini. Il penultimo è stato l’assessore dei Trasporti Massimo Deiana. Un migrante superlusso. Approdato a Cagliari ma non al molo Ichnusa: ha appeso il salvagente direttamente sulla poltrona di presidente dell’Autorità portuale. E poi dicono che l’accoglienza dei filantropi in Sardegna non funziona!
L’ultimo naufrago è invece l’assessore dei Lavori pubblici Paolo Maninchedda. Si è dimesso ieri pomeriggio. Prima di tuffarsi a pesce dal barcone, ha scritto una lettera. Ma non l’ha infilata in una bottiglia, come usano i naufraghi. L’ha fatta recapitare a Francesco Pigliaru. E poi l’ha diffusa sul web. Parole che toccano nel profondo: “Sono molto stanco”, afflitto da un “inestinguibile” senso di solitudine. Per quanto stanco, però, Maninchedda non rinuncia alla proverbiale modestia.
Ed elenca i suoi meriti: “Ho tirato fuori Abbanoa dal tribunale fallimentare” (facendo fallire le aziende, tartassate con bollette a 5 zeri, e soprattutto togliendo l’acqua ad anziani e famiglie indigenti); “Abbiamo sbloccato tanti cantieri sulle strade sarde” (ma deve essersi dimenticato la 131 e la nuova 554, che resterà chiusa per la terza estate consecutiva); “Giunta e maggioranza, trascinate dal Partito dei sardi, hanno iniziato a muoversi su terreni nuovi” come “i rapporti internazionali con Baleari, Corsica, Ue e Cina” (talmente forti i rapporti Sardegna-Cina che quando Xi Jinping era ospite al Forte a Santa Margherita gli hanno servito un menu toscano con dolci siciliani).
Ma il passaggio politicamente più significativo – roba da “Quo vado”, l’ultimo film di Checco Zalone – è quando Maninchedda parla della questione sarda. Anzi, della “questione dello Stato sardo”. Per cui – ricorda – si è sacrificato fino alla stanchezza. Ma a tutto c’è un limite: “Si è sostenuto che in fin dei conti ero pronto ad accettare più o meno tutto, da parte dello Stato italiano, pur di mantenere il mio ruolo”. E invece no, eccovi servite le dimissioni per stanchezza. Però, qualcosa non torna nel ragionamento dell’ex assessore sovranista. Maninchedda per tre anni ha fatto parte di una Giunta espressione di una maggioranza guidata ed egemonizzata da un partito italiano e statalista. Un partito – il Pd – che nega alla Sardegna non la sovranità: addirittura nega quel poco di autonomia statutaria che le è rimasta sulla carta. Quindi la domanda è: quand’è che Maninchedda si è stancato?
Per esempio, quando il Governo, con la complicità dell’assessore filantropo dei Trasporti, ha ripetutamente calpestato i diritto dei Sardi alla continuità territoriale senza che dalla Giunta si levasse un filo di voce, l’assessore del Partito dei sardi era già stanco? Quando la Fluorsid avvelenava i pascoli, le colture e il sardissimo stagno di Santa Gilla, l’assessore del Partito dei sardi era ancora in forze oppure, anche in questo caso, era già stanco? E quando il partito italiano dei filantropi ha imposto alla guida della Asl unica un filantropo paracadutato dalla Liguria, Maninchedda aveva ancora le forze per opporsi, magari dimettersi, oppure era già stanco anche allora?
Si potrebbe continuare all’infinito, ma è meglio fermarsi. Del resto i Sardi sono molto più stanchi di Maninchedda. Stanchi di questa Giunta di filantropi, dei suoi disastri, dell’incapacità del suo presidente. E della stanchezza ad orologeria dei rivoluzionari da salotto.
Roberto Casu
(admaioramedia.it)