Nel lontano novembre 1943, nel territorio dello Stato nazionale repubblicano d’Italia (Repubblica sociale italiana, ndr) iniziava la guerra civile. Una guerra voluta dai comunisti contro il risorgere del fascismo. Una guerra di epurazione politica che ebbe come fine ultimo lo scatenamento della tanto propagandata rivoluzione bolscevica.
Tra i numerosi fatti di sangue che macchiarono il suolo della Patria in quell’atroce autunno, vogliamo ricordare quello che vide coinvolto il fascista repubblicano Pietro Manunta, maresciallo dell’Esercito nativo di Bosa. Sfollato con la moglie ad Alviano (in provincia di Terni), subito dopo l’8 settembre 1943 era stato fra i primi a rimanere al fianco dell’alleato germanico. Non aveva neanche aspettato la costituzione delle prime strutture politico-militari dello Stato nazionale repubblicano ed era corso a Roma ad iscriversi al risorto Partito Fascista, arruolandosi subito nell’Esercito tedesco.
Manunta rappresentò ad Alviano anche il ritorno della legge e la sua intransigenza nell’eseguire le direttive delle Autorità germaniche lo portarono subito alla ribalta come ‘zelante fascista’. Inviso agli antifascisti, non fu difficile vedere in lui il nemico da eliminare. Isolato, facilmente raggiungibile, chiunque avrebbe potuto dare una solenne lezione al ‘Maresciallo di Alviano’. E così fu. Con l’accusa di non meglio specificati “soprusi contro la popolazione”, venne sequestrato nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1943 da un gruppo di ribelli e di lui si persero notizie. Fu portato prima in una casupola di campagna di proprietà del comandante ribelle Dionisio Santi. Successivamente, venne portato sul Monte Buttanello dove rimase prigioniero per una settimana, per poi essere ucciso a colpi di accetta alla testa da Avodio Santi detto ‘Il Roscio’, zio di Dionisio. Il suo corpo venne occultato in una fossa di un burrone e non sarà mai più ritrovato. Secondo gli atti, Manunta venne ucciso una paio di settimane dopo il sequestro, nei pressi di Lugnano in Teverina, l’11 novembre 1943.
Comunque siano andate le cose, Pietro Manunta fu il primo caduto dello Stato nazionale repubblicano d’Italia per mano della guerriglia nella provincia di Terni. E non fu l’ultimo. Episodi inenarrabili compiuti dai guerriglieri comunisti si registreranno anche nelle settimane successive. Il mese di novembre 1943, infatti, non si concluse senza un raccapricciante ritrovamento. Il 29 novembre 1943, lungo la sponda sinistra del Fiume Tevere, in località Muretta di Attigliano (Terni), venne ritrovato il corpo orribilmente seviziato di un militare della Luftwaffe. Era incaprettato (mani, piedi e collo legati con una corda rafforzata con fil di ferro) e presentava una profonda ferita all’occipite causata da un’arma contundente. L’omicidio non fu mai rivendicato – e se ne comprenderà il motivo – ma non è difficile risalire ai responsabili.
Il Comitato pro 75° anniversario della Rsi in Provincia di Terni, nell’ottica del raggiungimento di una vera pacificazione nazionale, nel quadro della costruzione di un ‘percorso della memoria’ territoriale sulla storia della Repubblica sociale italiana attraverso le gesta dei suoi caduti, ha scritto al Sindaco di Bosa chiedendo di inserire il nome di Manunta sul monumento ai Caduti. Ma non solo. Il Comitato ha anche scritto nuovamente, dopo un primo tentativo di due anni fa, al Sindaco di Alviano chiedendo l’autorizzazione ad erigere una croce nel luogo ove Pietro Manunta venne sequestrato, perché vi sia finalmente un luogo dove pregare il caduto repubblicano, il cui corpo, dopo 75 anni, giace nascosto in un’anima fossa. Speriamo di non dover attendere ancora.
Pietro Cappellari (dal blog “CampoMarzio19” dell’8 novembre 2018) (immagine di repertorio)
(admaioramedia.it)