Sulla partecipazione della Brigata “Sassari” nella Grande Guerra sono numerosi i libri e gli articoli degli storici sardi. Ad Maiora Media, in occasione del 100° anniversario della sua costituzione, ha chiesto ad uno storico di Bergamo, Marco Cimmino, di raccontare la Brigata. Questa è la seconda delle quattro puntate.
Gli elementi su cui potè innervarsi la mitologia sassarina sono piuttosto evidenti: il primo è, certamente, il carattere peculiare dei Sardi. L’isolamento, i fenomeni sociali ed il mantenimento di forti tradizioni di tipo tribale permisero di individuare nella ‘sardità’ una specie di valore aggiunto, in caso di guerra. La ‘balentia’, il sapersi arrangiare, la capacità venatoria, il codice d’onore, l’uso del coltello e perfino l’aspetto fisico dei Sardi contribuirono alla nascita di questo mito. Va, però, rimarcato come questi caratteri abbiano subito una sorta di cristallizzazione e di codificazione: nel caso della “Sassari”, essi vennero artatamente enfatizzati, bel aldilà delle reali condizioni del reparto. E’ innegabile, tuttavia, il fatto che, linguisticamente, fisicamente, socialmente, per così dire, epistemologicamente, i sassarini rappresentassero gli uomini giusti al momento giusto: possedevano una sorta di physique du rôle, che era esattamente quello di cui aveva bisogno l’immaginario nazionale. E, d’altronde, essi rappresentavano, proprio in virtù del loro isolamento, una specie di razza misteriosa: e il mistero è la prima radice di un mito. Senza contare che, in questo caso, era molto difficile che le esagerazioni della stampa venissero smentite, per la sostanziale ignoranza della reale condizione dei soldati sardi, da parte del pubblico a casa.
Il secondo elemento di eccezionalità fu dato dalla specificità dell’azione per cui la brigata ottenne gli onori delle cronache in via tanto eccezionale. La “Sassari”, com’è noto, operava, dalla fine di luglio del 1915, alle dipendenze della 22a divisione, nel settore di Sagrado/San Michele. Era un settore particolarmente difficile, anche nel contesto, tutto estremamente problematico, dell’assalto al campo trincerato di Gorizia. Fin dai suoi primi scontri col nemico, a Bosco Lancia, Bosco cappuccio Cappuccio e Bosco Triangolare, i Sardi si battono bene: non sono, tuttavia, i soli e non hanno perdite superiori a quelle degli altri numerosi reparti che cercano di conquistare il monte insanguinato. Dopo il passaggio alla 28a divisione, in agosto, il ciclo operativo rimane, più o meno, lo stesso, con continui sbalzi e contrattacchi. E’ a novembre che si compie il destino della “Sassari”: tra il 13, 14 e 15, la brigata conquista i “Razzi” e le “Frasche”, ossia le due trincee per cui verrà citata all’ordine del giorno, fatto che, come si è già ripetuto, darà origine alla leggenda. Il punto chiave sta nelle modalità operative di quell’episodio. Innanzi tutto, l’assalto: alla baionetta, nel caso delle “Frasche” e di sorpresa, nottetempo, in quello dei “Razzi”. Questo brillare di lame e questa azione silenziosa e letale, nel cuore della notte, sembrano fatti apposta per dare vita ad un mito, che si adatta perfettamente all’immagine popolare del soldato sardo. Inoltre, il vero capolavoro della brigata non risiedette tanto nella conquista, giacchè spessissimo gli Italiani riuscivano, nonostante la tattica catastrofica d’approccio alla linea nemica e a prezzo di sacrifici durissimi, a conquistare una o anche due linee di trincee avversarie. Il punto è che, quasi subito, gli Austroungarici, con abili contrattacchi, riconquistavano le posizioni perdute, vanificando lo sforzo italiano e seminando lo sconforto tra gli attaccanti, che vedevano dei risultati pari a zero, a fronte di tante perdite. Questa tattica era, in pratica, divenuta di routine: certe volte, anzi, alcuni tratti di linea venivano abbandonati dopo una resistenza piuttosto blanda e facilmente riconquistati, in virtù dello scollamento tra i reparti d’assalto e i rincalzi che avrebbero dovuto seguirli velocemente.
Nel caso della “Sassari”, invece, la brigata resistette al contrattacco austroungarico: mantenne il possesso delle posizioni occupate e, in definitiva, si comportò in modo affatto diverso dagli altri reparti che operavano in quel settore: fu proprio a causa di questa resistenza che, il 15 novembre, apparve sul bollettino n. 173 del Comando Supremo la celeberrima citazione degli “intrepidi Sardi”, che avrebbe dato origine a tutto il complesso meccanismo mitopoietico. Insomma, qualcosa deve avere colpito la fantasia dei comandanti: probabilmente, la sensazione che “finalmente si avanza e si mantiene ciò che si è conquistato!”, unitamente a quei caratteri specifici che il caso aveva riunito nella brigata “Sassari”, hanno determinato una miscela perfetta, che, nella mente dei responsabili della propaganda del Regio Esercito, ha fatto scoccare quella scintilla citata più sopra. Prova ne sia il fatto che, il 3 dicembre 1915, il Comando della 3a armata diede disposizione di trasferire alla “Sassari” tutti i soldati sardi arruolati in fanteria, e di accettare, senz’altro, la domanda di trasferimento alla brigata da parte di tutti gli ufficiali sardi che ne avessero fatto richiesta. Appare assai evidente, da questo provvedimento tanto anomalo, rispetto alle abitudini del Regio Esercito, la volontà di creare un reparto del tutto fuori del comune, che, in qualche misura, fungesse da paradigma eroico per il cittadino borghese: una immediata riconduzione ad una mitologia preesistente (quella sui caratteri atavici degli isolani), unita ad un valore dimostrato in un settore notissimo e quasi ogni giorno citato sui giornali e sui bollettini, non avrebbero potuto non creare un valido elemento di propaganda militare. Nacque così il mito della “Sassari” e dei suoi “intrepidi Sardi”.
Terzo ed ultimo elemento corroborante il mito fu quello delle perdite: pare incredibile, oggi, che i caduti di un reggimento o di una brigata potessero essere considerati elementi utili alla propaganda, invece, nel caso della “Sassari”, questo è proprio ciò che avvenne. Ovviamente, se delle perdite terribili vengono associate ad una disfatta militare, esse rappresentano, agli occhi dell’uomo della strada, un’aggravante alla sconfitta: una macchia in più sulla coscienza di comandanti inetti. Tuttavia, se, al prezzo di gravissime perdite, si ottiene una formidabile vittoria, ecco che quei caduti divengono parte essenziale del mito: una sorta di sublimazione e di dilatazione della gloria dell’episodio, consacrata dal sangue dei valorosi. Per questo, nel caso della “Sassari” e, in parte, di tutti i caduti sardi, le perdite sono diventate una sorta di reliquia gloriosa: il suggello ad un’epopea. A tal proposito, suonano ancora più significative le parole di Camillo Bellieni, sul fatto della brigata disfatta e rifatta dieci volte: vi risuona, insieme allo sgomento e al dolore, certamente una nota di orgoglio, che è della stessa sostanza del mito sassarino. Come ben sottolinea Manlio Brigaglia, parlando del problema storiografico rappresentato dalla “Sassari”, soltanto un sardo su sei morì sotto le insegne della brigata: eppure, per tutti, e perfino per i Sardi stessi, la Sardegna, nella Grande Guerra, fu la “Sassari”. Non si tratta di un’ingiustizia perpetrata ai danni di quei cinque sardi caduti in altri reparti e a favore dell’unico sassarino, quanto, piuttosto, di una specie di ‘reductio ad unum’, tanto comune nei fenomeni legati alla creazione e alla diffusione di un mito. Si deve, infine, aggiungere che le perdite del reparto furono, comunque, molto pesanti, anche rispetto ai caduti sardi, già più numerosi del 30% rispetto alla media nazionale: più di 500 ufficiali e quasi 14.000 soldati furono le perdite della brigata nel suo ciclo operativo 1915-1918, a testimonianza di un utilizzo intensivo e, talvolta, deliberatamente spensierato del reparto.
Marco Cimmino – Storico e giornalista; Componente della Società Italiana di Storia Militare e del Comitato scientifico del Festival Internazionale “èStoria” di Gorizia
(2ª puntata, la 1ª puntata, “Nascita di un reparto fuori del comune”, la 3ª puntata, “Nascita del modello Sassari”, e la 4ª puntata, “L’umile fante e l’intrepido Sardo”, sono state pubblicate il 31 maggio, il 14 e il 21 giugno)
(admaioramedia.it)
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Anna Lucia Puddu
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