Sulla partecipazione della Brigata “Sassari” nella Grande Guerra sono numerosi i libri e gli articoli degli storici sardi. Ad Maiora Media, in occasione del 100° anniversario della sua costituzione, ha chiesto ad uno storico di Bergamo, Marco Cimmino, di raccontare la Brigata. Questa è la prima delle quattro puntate.
Tra tutti i miti originati dalla Grande Guerra, uno dei più noti e duraturi è certamente, almeno per il nostro Paese, quello dei fanti della brigata “Sassari”: prova ne sia il successo che, ancora oggi, riscuote la sfilata di questo reparto, durante la parata del 2 giugno, quando le note di Dimonios non mancano mai di suscitare nel pubblico gli applausi più calorosi. Un mito come quello della “Sassari” è un bene prezioso, che va difeso e tutelato, ma che va anche collocato nel suo contesto, fuori del quale sarebbe, inevitabilmente, banalizzato.
La “Sassari” non è un reparto di enorme tradizione storica: non è certamente paragonabile ai più rinomati reggimenti tedeschi, la cui origine risale al XVI secolo, a reparti che fecero parlare di sé in quasi tutte le guerre europee dell’Età moderna, come il Black Watch, il Coldstream o l’Herzherzog Rainer o anche, per rimanere in Italia, ai Granatieri di Sardegna o alle più antiche brigate sabaude. La Brigata più decorata dell’Esercito italiano nella Grande Guerra nacque proprio in occasione di quel conflitto, nei primi mesi del 1915: non aveva tradizione né blasone e venne formata con soldati sardi, provenienti dal 45° e dal 46° rgt. Fanteria, ma li conquistò col proprio comportamento e grazie al proprio mito. Molti fattori contribuirono all’affermazione di questo mito, ma tra questi non vi fu, certamente, la nascita anagrafica del reparto.
In un certo senso, la “Sassari”, da un punto di vista mitopoietico, nacque due volte e fu la sua seconda nascita a determinare l’eccezionalità della sua leggenda. Il mito della “Sassari” fu un mito creato dall’esterno: non si coagulò dalle impressioni dei combattenti, ma, piuttosto, venne pianificato per ragioni molto prossime alla mera propaganda. Poi, come spesso accade, a forza di ripetere formule guerresche riferite al reparto, i soldati stessi le condivisero e le fecero proprie: insomma, i Sardi della “Sassari” divennero mito per non essere da meno, rispetto ad una mitologia costruita su di loro, e voluta da altri.
L’unico contributo, per così dire, casuale, alla nascita di questa mitologia militare fu l’origine regionale dei soldati e di larga parte degli ufficiali della brigata: questa circostanza venne, caso unico nella pubblicistica del Regio Esercito, enfatizzata e sottolineata, tanto che, ad un certo punto, nei comandi italiani a qualcuno dovette accendersi una lampadina: la “Sassari” sarebbe andata decisamente controcorrente, diventando un esperimento di reparto a reclutamento regionale, a differenza di tutte le altre brigate di fanteria, in cui, invece, si spingeva per il métissage. È proprio da qui che muove l’origine del mito sassarino. Allo scoppio della Grande Guerra, l’esercito italiano era una compagine molto eterogenea e scarsamente coesa: era la perfetta rappresentazione della società italiana di allora, estremamente divisa per ceti, per cultura, per tradizioni e per parlate. L’unità nazionale, dopo più di cinquant’anni, non si era ancora realizzata, se non nelle intemerate dei politici e nelle aspirazioni dei poeti: tra soldati di regioni diverse e, quel che è peggio, nelle linee di comando, capitava ancora di non capirsi. Si rammenti, ad esempio, la pessima abitudine dei piemontesi di parlare tra loro in dialetto, per imitare le abitudini dei Savoia: elemento ricco di tradizione e di folklore, indubbiamente, ma non certo idoneo a facilitare la comprensione di ordini e disposizioni, in un esercito nazionale, oltre a poter risultare fastidioso e discriminatorio per gli ufficiali non piemontesi.
Dunque, la guerra avrebbe dovuto rappresentare un’occasione di osmosi, tra le diverse popolazioni della Penisola: tanto è vero che questo aspetto venne, dopo il conflitto, ampiamente, utilizzato dalla propaganda patriottica, per dimostrare l’avvenuta fusione, nel sangue e nella lotta, del popolo italiano. Questo atteggiamento mentale si è rivelato duro a morire, se, ancora negli anni Ottanta, si raccomandava di inviare militari di leva settentrionali in caserme del Sud e viceversa, nonché di mantenere altissima la disomogeneità di reclutamento dei vari reparti. Caso a sé venne rappresentato dalle truppe alpine, per ovvie ragioni: a parte le brigate alpine, però, nell’esercito si è sempre cercato di mescolare il più possibile i soldati di diversa provenienza regionale.
Nel caso della “Sassari”, invece, si procedette nella direzione contraria: dopo il successo ottenuto dalla brigata alle trincee ‘dei Razzi’ e ‘delle Frasche’, il bollettino di guerra, infrangendo una regola non scritta, ma invalsa, citò all’ordine del giorno “gli intrepidi Sardi” e, da allora, i sassarini dovettero far fronte alla propria nomea. Dovettero, in definitiva, trasformarsi negli “intrepidi Sardi”, per forza: la Sardegna e il paese, adesso, guardavano a loro come ad una certezza militare ed avrebbero dovuto essere all’altezza di quelle pesantissime aspettative. Il mito assunse ben presto uno spessore tale da decidere anche l’impiego operativo del reparto, che divenne una brigata d’emergenza: dove nessuno ce la faceva, lì si mandava la “Sassari”.
Perfino da un’opera antiapologetica come “Un anno sull’altipiano”, di Emilio Lussu, traspare questo concetto, anche se lo scrittore sardo lo utilizza in chiave negativa, interpretando il malumore dei soldati. Va detto che Lussu, per non fare dell’apologia, finì, talvolta, per cadere nell’errore opposto, esasperando certi caratteri e, in qualche caso, facendone caricature: tuttavia, è indubbio che la truppa avvertisse questo peso di dover sempre fare cose eccezionali. C’era, probabilmente, nella “Sassari”, da una parte, l’orgoglio per essere una brigata particolarmente distinta, ma, dall’altra, un certo qual desiderio di normalità operativa: che le facessero un po’ anche gli altri le imprese disperate!
Marco Cimmino – Storico e giornalista; Componente della Società Italiana di Storia Militare e del Comitato scientifico del Festival Internazionale “èStoria” di Gorizia
(1ª puntata, la 2ª puntata, “Strutture e mito“, la 3ª puntata, “Nascita del modello Sassari”, e la 4ª puntata, “L’umile fante e l’intrepido Sardo”, sono state pubblicate il 7, 14 e 21 giugno)
(admaioramedia.it)