Sulla partecipazione della Brigata “Sassari” nella Grande Guerra sono numerosi i libri e gli articoli degli storici sardi. Ad Maiora Media, in occasione del 100° anniversario della sua costituzione, ha chiesto ad uno storico di Bergamo, Marco Cimmino, di raccontare la Brigata. Questa è la quarta ed ultima delle puntate.
Nell’immaginario collettivo, sovente sono gli aggettivi a determinare l’impronta tipica: è attraverso gli attributi che la fantasia tende ad identificare un soggetto mitologico, un mitologema. Nel caso degli “intrepidi Sardi”, l’ipotiposi, rispetto a quelle precedentemente sottolineate, si arricchisce di un valore semantico ulteriore: vi è, senza dubbio, il concetto di assenza di paura, anzi, di un coraggio che rasenti l’incoscienza, ma è sottintesa anche, nella parola “Sardi”, l’idea che il coraggio/incoscienza di quel popolo sia, in qualche misura, diverso e misteriosamente superiore (o, comunque, meno spiegabile) rispetto a quello degli altri Italiani. Di nuovo, interviene questo elemento mitopoietico, la ‘sarditas’, che sembra incombere come un destino sull’immagine del popolo di Sardegna, e, qualche volta, pare costringere i Sardi ad essere all’altezza di questo mito, anche contro la loro reale indole o volontà: un mito-prigione, in un certo senso. Tanto è vero che, nel corso della guerra, la “Sassari” venne utilizzata quasi sempre in funzione del proprio mito, sia in veste di apripista, come nel caso dello Zebio, sia in quella di tamponamento, come nel caso dei Tre Monti o sul Piave: la situazione è disperata? Mandiamoci gli “intrepidi Sardi”!
Forse, questa è un’esagerazione: in realtà, altri reparti ebbero cicli operativi comparabili con quelli della brigata sarda. Tuttavia, non ci si discosta troppo dal vero se si sostiene che lo spirito con cui i comandi utilizzarono il reparto risentì, almeno in parte, di questo mito: dell’idea che i Sardi fossero gli Spartani d’Italia. Perché, come gli Spartani vengono percepiti come meno civili e colti, ma, forse proprio per questo, molto più combattivi degli Ateniesi, così accadde per la brigata “Sassari” e per i soldati sardi in generale: non è vero, ma ci si crede, proprio perché si tratta di mythos e non di lògos. Anche per questo, la brigata, all’indomani della battaglia dei Tre Monti, ossia della prima significativa vittoria italiana dopo la disfatta di Caporetto, venne trasferita, in fretta e furia, a Vicenza, dove il Capo di Stato Maggiore in persona la passò in rivista, il 7 febbraio 1918: di nuovo veniva a galla il valore dell’esemplarità, tanto caro al sistema mitologico del Regio Esercito, premiando un reparto celebre e valoroso, gli “intrepidi Sardi”, in rappresentanza di tutti gli “umili fanti” che avevano resistito a carissimo prezzo all’offensiva nemica iniziata sull’Isonzo ed arenatasi sul Piave, sul Grappa e sugli altipiani.
Solo che, paradossalmente, veniva premiato il reparto percepito dall’opinione pubblica come, in fondo, il meno esemplarmente italiano. Naturalmente, non s’intende qui mettere in dubbio il patriottismo dei soldati della “Sassari”. Il fatto è che il resto d’Italia e, particolarmente, quell’Italia che leggeva della guerra sulle pagine de “La Domenica del Corriere” o de “L’Illustrazione italiana”, percepiva la “Sassari” come una sorta di Legione Straniera, di “Tercio”, come un frammento glorioso, ma, in fondo, un poco straniero, dell’esercito nazionale.
Comunque, si tratta di un mito vivo e duraturo: prova ne sia il successo che riscuotono le iniziative e le cerimonie legate alla brigata. I sassarini sono accolti ovunque con rispetto ed ammirazione: sono un mito positivo, in un Paese che ne ha disperato bisogno. Il mito della “Sassari” si interseca, indissolubilmente, con il mito della Sardegna misteriosa, delle popolazioni nuragiche, dei pastori, della Barbagia, forse, perfino, del vento implacabile, del sole d’acciaio. Tutto concorre a creare il mito. Però, nell’immaginario collettivo, gli archetipi del mito sono sempre gli stessi: le Termopili come i Tre Monti, Caporetto come Canne, Vittorio Veneto come Platea. E gli intrepidi Sardi è più facile immaginarseli seminudi, con gli schinieri di bronzo e la lunga lancia, forse, piuttosto che vestiti del grigioverde. Perché così funziona il mito: è antistorico, antilogico, antispaziale. E, un po’, perché così ci piace immaginarli, ancora oggi, questi formidabili Dimonios.
Marco Cimmino – Storico e giornalista; Componente della Società Italiana di Storia Militare e del Comitato scientifico del Festival Internazionale “èStoria” di Gorizia
(4ª puntata, la 1ª puntata, “Nascita di un reparto fuori del comune”, la 2ª puntata, “Strutture e mito“, e la 3ª puntata, “Nascita del modello Sassari”, sono state pubblicate il 31 maggio, il 7 e il 14 giugno)
(admaioramedia.it)
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