Il motu proprio di Papa Benedetto XVI “Summorum Pontificum”, che ha liberalizzato la ‘messa in latino’ secondo il messale tridentino, ha da poco compiuto dieci anni. I tempi sono maturi per tracciare un bilancio del provvedimento nell’Isola.
Se Cagliari e Sassari sorridono, nelle altre diocesi tutto tace e non si ha notizia della messa celebrata fino a pochi mesi fa a Villanova Strisaili, in Ogliastra. Si registra comunque un costante aumento delle presenze tra i banchi, numeri che aspettano solo di essere elaborati e divenire statistica. Qualcuno prima o poi dovrà occuparsene. A Cagliari e Sassari, i Vescovi Arrigo Miglio e Paolo Atzei (a cui è subentrato di recente don Gian Franco Saba) hanno sempre favorito l’applicazione del motu proprio. Nella diocesi cagliaritana l’Arcivescovo Miglio ha in alcune circostanze sostituito, anche in extremis, il sacerdote incaricato monsignor Gianfranco Zuncheddu, o chi ne faceva le veci nei mesi estivi, pur di non lasciare i fedeli senza messa, rendendosi disponibile pure per le confessioni. Un gesto di grande sensibilità.
A Sassari, il gruppo stabile dei fedeli che seguono la messa tridentina nella Chiesa della Madonna del Rosario ha costituito un coetus Summorum Pontificum collegato all’omonimo coordinamento nazionale che riunisce vari enti e realtà ecclesiali, sparse nel territorio nazionale, interessate all’applicazione del motu proprio. A Cagliari, il gruppo di frequentatori della Basilica di Santa Croce sta dando vita a un’associazione culturale, denominata “Societas Sancti Benedicti”, per approfondire e promuovere la teologia della liturgia antica sotto la guida di sacerdoti, attraverso catechesi e iniziative finalizzate alla conoscenza e valorizzazione del canto gregoriano, della polifonia sacra, dei canti tradizionali sardi e delle forme di religiosità popolare. E alle messe cantate celebrate (alle 11 di domenica) e nelle feste di precetto a Santa Croce da monsignor Gianfranco Zuncheddu, prelato dalla vasta cultura umanistica e fra i massimi esperti di canto gregoriano in Sardegna, si aggiungeranno dal 4 ottobre (festa di San Francesco d’Assisi) due messe lette il primo e il terzo mercoledì di ogni mese alle 8 del mattino nella parrocchia di Sant’Avendrace. Il parroco don Fabrizio Porcella ha infatti accolto la richiesta di alcuni suoi parrocchiani e della stessa Societas Sancti Benedicti, nello spirito del Summorum Pontificum: un atto di amore verso una forma di alta spiritualità che costituisce un tesoro della fede cattolica romana. Un retaggio millenario in possesso anche di un inestimabile valore culturale, come fu riconosciuto durante il Concilio Vaticano II e negli anni successivi da numerosi intellettuali laici: Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi, Jorge Luis Borges, Wystan Hugh Auden, Luigi Dallapiccola, Giovanni Macchia, Vittore Branca, Ettore Paratore, Cristina Campo e molti altri.
Ma chi sono i fedeli affezionati alla forma straordinaria del rito romano, alla celebrazione versum deum, alla comunione in ginocchio? Li chiamano lefebrviani, nostalgici, tradizionalisti, persino fascisti. Ma la realtà smentisce etichette e luoghi comuni: sono soprattutto uomini e donne, di età media fra i quaranta e i quarantacinque anni, in cerca di una spiritualità non orizzontale, di un cattolicesimo in grado di recuperare la dimensione dell’adorazione, del silenzio orante, della sacralità. Il target si può descrivere con buona approssimazione: cultura medio-alta, studenti, impiegati, insegnanti, disoccupati, liberi professionisti, giornalisti. Cattolici ferventi, turbati da una certa confusione dottrinale che sta attraversando la Chiesa. Ma anche persone ritornate al cattolicesimo dopo anni di lontananza o tiepidezza. Non pochi i neo-convertiti. Qualcuno proviene da lunghe esperienze nel buddismo, altri sono persone in cerca di Dio passate attraverso la spiritualità gnostica, altri ancora ex atei materialisti che hanno incontrato la fede. Tutti accomunati dal disagio per liturgie sciatte o chiassose, quando non ferite da veri e propri abusi, e da insofferenza per quello “spirito del Concilio” che ha ridimensionato il senso del sacro in favore di una concezione della messa molto simile a quella luterana: un’assemblea fraterna, una cena, dove si fa fatica a credere alla presenza reale di Cristo.
E infatti tanti cattolici non ci credono più, la sacra ostia è diventata per molti un semplice pezzo di pane tra le mani, un simbolo che può essere anche ‘gluten free’. Le funzioni vengono aperte da comunicazioni di servizio e concluse dall’augurio di buon pranzo e buonasera. E poi ci sono i turisti, in particolare gli stranieri che cercano una messa comprensibile e la trovano grazie all’universalità del latino, lingua ufficiale della Chiesa ancora capace di unire, sedimentata nella memoria dei credenti e non così estranea come una certa vulgata modernista vorrebbe far credere.
Gesualdo
(admaioramedia.it)