La Giornata del Ricordo non può e non deve essere una giornata di rivendicazioni territoriali o di possibili vendette, ma solo un momento di profonda riflessione sulla tragedia delle Foibe ed esodo delle popolazioni giuliano-dalmate dai territori italiani dell’Istria, Fiume e della Dalmazia, pagine della nostra storia che vanno dall’8 settembre 1943 al 1947 ed oltre sulle quali è gravato un indegno ed assordante silenzio nazionale per oltre 60 anni.
Due generazioni e più di italiani non sanno ancora nulla al riguardo. Gli autori ed i complici di quel silenzio pensavano che riconducendo gli infoibamenti ad un regolamento di conti tra slavi e fascisti tutto fosse felicemente messo a tacere. Ma la verità, come dice Gramsci, è più forte della rivoluzione e lei stessa, nella circostanza, si è rivelata rivoluzionaria perché ha portato alla luce i delitti per mano dei partigiani titini inquadrandoli nell’obiettivo di pulizia etnica prefissato dal maresciallo Tito nella conquista di quei territori partendo dal presupposto che tutto ciò che era italiano era fascista ed andava fisicamente eliminato. E’ in quest’ottica che nelle foibe sono finiti coloro che si opponevano alla ‘slavizzazione’ di quei territori: forze dell’ordine, giovani, anziani, sacerdoti, non esclusi partigiani italiani e comunisti.
La cessione di quei territori alla Jugoslavia, sancita dall’iniquo Trattato di pace di Parigi, indusse 350.000 italiani, discendenti da coloro che dai tempi di Roma e Venezia vivevano in quei luoghi, ad abbandonare la terra natale e con essa tutto ciò che possedevano per trasferirsi in altre regioni italiane. Restare avrebbe significato entrare a far parte di una storia e di una cultura che non ci apparteneva. Uscivano con le ossa rotte da una dittatura e non avevamo alcuna intenzione di sottometterci ad un’altra dittatura seppure di colore diverso. Fu un esodo di proporzioni inaspettate che vide la presenza di tutte le categorie sociali (dagli operai ai latifondisti, da agricoltori e pescatori a impiegati e liberi professionisti, artigiani, commercianti, industriali etc.). Il piroscafo Toscana ci sbarcava nei porti di Venezia ed Ancona da dove poi si proseguiva con le tradotte verso i 110 campi profughi sparsi in tutta la penisola. Le notizie che i titini inviavano ai compagni italiani riferivano dell’eliminazione dei fascisti di cui in precedenza (leggi italiani) per cui al nostro arrivo i ‘compagni’ nazionali ci coprivano di sputi ed insulti al grido di “fascisti tornate a casa vostra”. Al loro occhi eravamo coloro che andando via da quelle terre rifiutavano la proposta di vivere nella nuova Jugoslavia comunista, quindi eravamo ‘anticomunisti’ ovvero fascisti.
Ci portarono in vecchie caserme, conventi, capannoni in alcuni casi recintati con filo spinato; venivamo schedati e costretti a vivere in cameroni ove gli spazi, delimitati da coperte appese su funi che andavano da un muro all’altro, variavano a seconda della composizione del nucleo familiare. Ben consci della nostra scelta di libertà accettammo in silenzio finché lentamente non riuscimmo a trovare un lavoro e renderci autonomi; ma in alcuni casi la permanenza durò anche 10 anni ed oltre. Nonostante le difficoltà della città e dei suoi abitanti, Cagliari ci accolse con comprensione permettendoci di inserirci nel tessuto economico e sociale locale e partecipare alla rinascita del dopoguerra.
Per finire, ricordo che la violenza non è solo quella fisica, ma anche quella comportamentale, quella dell’immagine nonché della parola. Quest’ultima si concretizza anche in scritte murali quali “Viva le foibe” oppure ”Amo le foibe” che appaiono su muri di vie centrali delle città facendo mostra di sé per anni. Di fronte a questo inneggiare a strumenti di morte desta molta perplessità l’immobilità delle amministrazioni comunali, i cui esponenti, che giornalmente parlano di pace, lotta alla violenza etc., non dispongono per la loro cancellazione. Allora, viene naturale domandarsi: sanno cosa sia una foiba? Fanno finta di non sapere che cosa sia una foiba? O ancora peggio: condividono il contenuto di quelle frasi?
Giuliano Lodes – Profugo Istriano
(admaioramedia.it)