Negli Stati Uniti il termine ‘deep state’ è usato per descrivere tutti gli organi decisionali all’interno dell’amministrazione che sono relativamente permanenti, e le cui scelte e decisioni politiche non sono influenzabili dal cambiamento dei politici eletti. Il termine è spesso usato in senso critico per riferirsi alla mancanza di influenza che la democrazia popolare ha su questi organi istituzionali e sulle decisioni che prendono come fossero un vero e proprio governo ombra.
Nel contesto regionale sardo si può pensare alla pletora di burocrati, dirigenti regionali, funzionari ai vari livelli, che, a volte facilitati da taluni magistrati dei tribunali, ordinario o amministrativo, possono impedire di fatto che alcune decisioni dei politici scelti dal popolo siano messe in pratica. Si pensi ai dirigenti che non prendono decisioni (incapacità, timore o inadeguatezza?), pur essendo pagati per prenderle, su autorizzazioni, progetti, sblocco di finanziamenti, pagamenti. Un esempio attuale, tra i più lampanti, quello legato alle vicende dei pagamenti dei contributi all’agricoltura in capo ad Argea Sardegna, che richiede il caricamento di una mole assurda di documentazione inutile ed il cui software ancora non è funzionante. La macchina regionale assume spesso comportamenti improntati a ingiustificabile superficialità, se non a vera e propria arroganza procedimentale, senza che nessuno generalmente subisca le conseguenze dei disagi provocati, anzi sovente riscuotono anche incomprensibili premi di risultato, che appaiono più come aumenti di stipendio periodici. Oppure, si pensi a quei dipendenti regionali, di qualsiasi livello, che ricoprono ruoli raggiunti non secondo criteri meritocratici (come potrebbero essere meccanismi interni di premialità legati al raggiungimento di risultati concreti nell’espletamento del servizio), ma in ragione di meccanismi scarsamente efficaci, come, ad esempio, concorsi pubblici basati su prove nozionistiche e che non sempre appaiono ‘trasparenti’.
Non bastando, inoltre, l’inerzia del deep state, l’ultima legislatura regionale a trazione Pd ha mostrato particolarmente anche la scarsezza del livello medio dei consiglieri regionali, autoreferenziali, presuntuosi, senza adeguata conoscenza, incapaci di produrre riforme efficaci (si pensi alla riforma in campo sanitario), che hanno creato solo malcontento o norme di legge non condivise neanche nella stessa maggioranza (il ritiro della Legge Urbanistica è un fulgido esempio).
Per ripulire una Regione come quella sarda ci vorrebbero almeno due decenni di una nuova classe dirigente, che ancora non si intravede all’orizzonte. Invece, continuano ad affacciarsi i soliti nomi, anche quelli dei grandi responsabili dello status quo.
Energhia
(admaioramedia.it)