L’edizione 2019 delle elezioni regionali della Sardegna diventeranno famose per l’exit poll più ‘farlocco’ della storia (bene ha fatto Maurizio Gasparri che ha chiesto alla Rai di non pagarlo), quello del ‘testa a testa’ tra il candidato governatore del centrodestra, Christian Solinas, e quello del centrosinistra, Massimo Zedda.
Però, il sondaggio della Emg (commissionato per Rai3) ha avuto almeno il merito di risollevare l’umore del centrosinistra per qualche ora e di concedergli sogni tranquilli domenica notte, prima di risvegliarsi, l’indomani, in un incubo che, sezione dopo sezione ‘spogliata’, confermava che il ‘testa a testa’ era solo nella testa del sondaggista Masia. Era tanta l’ubriacatura da ‘exit poll’ che il risultato di Baradili (paese più piccolo dell’Isola), dove Zedda vinceva nettamente (42.55% contro 23.40%), era sembrato loro un ‘segno premonitore’. Invece, la realtà era ben diversa. Solinas ha battuto Zedda di quasi 15 punti (quando, nonostante oltre 24 ore dall’inizio dello spoglio, mancano ancora 10 sezioni): 47,81% (363.485 voti) contro 32.93% (250.355).
Una debacle ‘rossa’ in tutte le otto circoscrizioni, con qualche importante segnale politico. Se il +29.2%, +19.6% e +17.6% conquistati rispettivamente nelle circoscrizioni di Gallura, Oristano e Sassari potrebbero sorprendere per le dimensioni, i successi in vecchi ‘feudi’ del centrosinistra testimoniano un’inversione di tendenza, presupposto per nuovi scenari anche nei governi di tanti Comuni: +21.8% in Ogliastra; +18.5% nel Sulcis; +7.4% a Nuoro; +2.6% nel Medio Campidano. Anche a Cagliari un netto +9.2%. La sconfitta del centrosinistra è ancora più evidente nel voto alle liste delle coalizioni: il centrodestra (quando mancano 41 sezioni) ha raggiunto quota 51.77% contro il 30.17% del centrosinistra, oltre 20 punti di differenza che la parlano chiaro: il giudizio dei Sardi sulla uscente Giunta Pigliaru è stato impietoso. Questa sconfitta di Zedda è stata netta, nonostante il suo disperato (e a volte pacchiano, come negli strali contro l’assessore della Sanità Arru) tentativo di smarcarsi dalla storia precedente, pur essendo sostenuto dalla medesima coalizione (tranne il Partito dei Sardi) del quinquennio 2014-2019. E per marcare questa differenza aveva addirittura coniato uno slogan chiaro, ma poco efficace: “Tutta un’altra storia”.
Fiutato il malessere dei Sardi, la speranza del centrosinistra era proprio il ‘voto disgiunto’, regola perversa e malvagia di questa inadeguata (e incasinata) legge elettorale sarda. Un’incomprensibile scelta dell’elettore (puntare ad eleggere un consigliere regionale, mandandolo all’opposizione) che era già costata cara al centrodestra nel 2014, quando le liste presero quasi 10.000 voti in più, ma Francesco Pigliaru superò Ugo Cappellacci di circa 20mila preferenze e si accasò a Villa Devoto. Anche in questa elezione, Solinas ha un 4% meno delle sue liste, mentre Zedda ha un +2.8%, ma nettamente insufficiente a sovvertire il netto risultato. Una lezione si può ricavare: tra le modifiche alla legge elettorale va certamente inserita l’abolizione del voto disgiunto che porta allo stravolgimento del voto dei cittadini, ma solletica anche i consiglieri più spregiudicati (e più scorretti) nel realizzare campagne elettorali a prescindere dalle appartenenze. Peraltro, il ritardo nello spoglio va attribuito anche al ‘voto disgiunto’, che, con tanti candidati, ha messo a dura prova presidenti e scrutatori dei seggi.
Per la prima volta si è votato con un’altra ghiotta novità: la doppia preferenza di genere, che riconoscendo nelle donne una categoria ‘politicamente svantaggiata’ avrebbe dovuto incrementare la loro presenza all’interno dell’Aula di via Roma. Le consigliere uscenti erano quattro, secondo le prime proiezioni dovrebbero essere dieci (tre nel centrosinistra, tre nei cinquestelle e quattro nel centrodestra): l’aumento è nei numeri, ma il fallimento della norma è nei fatti, che peraltro ha avuto il demerito di creare il fenomeno degli spregiudicati ‘abbinamenti multipli’ di qualche candidato consigliere maschio. Curiosamente, tra le dieci elette, tre saranno della Lega, partito accusato sovente di ‘maschilismo’ dai suoi detrattori.
Per finire, un’occhiata alle liste. La ‘decrescita felice’ è da sempre una delle parole d’ordine del Movimento 5 Stelle, ma forse in questo caso si tratta di una coerenza portata agli estremi, tanto da perdere, in meno di un anno, il 31.5% dei voti. Addirittura, il candidato governatore, Francesco Desogus, ha più voti dei candidati consiglieri (+1.4%): “Se uno come lui ha più voti della lista è la prova della crisi dei cinquestelle”, ha chiosato impietosamente Clemente Mastella ad “Agorà” (Rai3) dopo aver sentito l’intervista al candidato grillino. Comunque, sei grillini faranno per la prima volta il loro ingresso in Consiglio regionale.
Dalla competizione elettorale escono con le ‘ossa rotte’ i tre candidati di una iperdivisa ‘area indipendentista’: il versatile Paolo Maninchedda, che, dopo aver saltellato dal centrosinistra al centrodestra e viceversa, col 3.35% del Partito dei Sardi potrà tornare a saltellare nelle aule universitarie, dove proseguirà a fare il docente. Appena 2.31% dei voti per i Sardi liberi di Mauro Pili, che ha ‘sacrificato’ una brillante carriera nel centrodestra per la sua nuova ‘ipertrofica’ versione da paladino della sardità a qualsiasi costo. in un’ardita sintesi, si potrebbe dire ‘dalla giubba della Brigata Sassari all’antimilitarismo’. Chissà se esisterà un ‘terzo tempo’ per l’ex giornalista prestato da decenni alla politica. Infine, Andrea Murgia che, col suo 1.82%, ha il merito di non aver cancellato definitivamente Autodeterminatzione dagli scenari regionali, dopo le disavventure e le scissioni continue. Seppure, il futuro del Movimento sia assai incerto. Una presenza che sa di ‘timida’ testimonianza per Vindice Lecis che con Sinistra sarda recupera un modesto 0.59%.
All’interno della coalizione vincente, ovviamente, balza agli occhi l’impresa della Lega che, con un 11.36%, arriva in Consiglio regionale con otto rappresentanti (come il Partito democratico, che ha conservato il primo posto tra i partiti), ma il trascinamento salviniano, al cospetto di tanti professionisti delle preferenze in campo nelle altre liste del centrodestra, è certamente al di sotto delle aspettative e delle piazze gremite viste in giro per l’Isola. E’ giusto riconoscere che chi ben comincia è a metà dell’opera, ma molto della tenuta della Lega sarda nel tempo è affidato alla capacità degli eletti. Nonostante le straripanti vignette e battute su ‘Salvinas’ e sul ‘candidato fantasma’, il risultato del PsdAz, partito del Governatore, parla chiaro: quasi il 10% e sette consiglieri. Sei eletti per una ridimensionata Forza Italia (8%), tre a testa per Riformatori (5%), Fratelli d’Italia (4.72%), Udc (3,69%) e Sardegna20Venti (4.14%), altra positiva novità ‘civica’ del centrodestra. Esordiscono in via Roma Sardegna civica (1.65%) e Fortza paris (1.64%). Nessun seggio per Uds (1.1%) ed Energie per l’Italia (0.48%). Alla fine dei conti, dalle urne è arrivata una schiacciante maggioranza per il governatore Solinas: 36 consiglieri contro i 24 dell’opposizione.
A ‘sinistra’, detto del Pd che, fedele al trend nazionale, perde consensi (13.45%) ed eletti, nessuna delle altre sette liste che sostenevano Zedda potrà cantare vittoria: due consiglieri a testa per Leu (3.82%), Campo progressista (3.18%), Futuro comune (2.63%), Noi, la Sardegna (2.81%) e Sardegna in comune (2.48%). Infine, Cristiano popolari socialisti (1.35%) e Progetto comunista (0.4%) che resteranno a casa.
Fabio Meloni
(sardegna.admaioramedia.it)