C’era una volta l’antipolitica. In una terra scossa fin nell’anima dal grido disperato di protesta dei pastori in lotta per il giusto aumento del prezzo del latte, a dispetto di un incalzante malcontento popolare e un prepotente gemito d’accusa verso la classe dirigente isolana, le recenti elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale sardo hanno riportato con prepotenza al centro della scena politica i partiti.
Sancita, con la forza di numeri impressionanti, l’alleanza tra il vecchio Partito sardo d’azione e gli uomini della nuova Lega, targata Matteo Salvini, il prossimo Consiglio regionale vedrà rappresentato tra i suoi banchi un nutrito esercito di sigle, liste e raggruppamenti accomunati dalla comune organizzazione in una rigida gerarchia, segretari e figure di riferimento e leader in grado di operare con la forza dell’investitura popolare, senza più trovarsi ad avere a che fare con battitori liberi e parvenu della società civile digiuni di esperienza e di ogni minima conoscenza dell’arte della rappresentanza. Travolto dallo smacco cocente di un consenso ridotto ad appena un quarto di quanto raccolto pochi mesi fa alle ultime elezioni politiche in Sardegna, anche il movimento d’opinione per eccellenza, quello dei Cinquestelle, si ritrova a fare i conti con i danni elettorali provocati dall’assenza di un reale radicamento sul territorio e da una seria gerarchia di partito. Una gerarchia che non può certo essere decisa, e un briciolo di avvedutezza in più avrebbe consentito di intuirlo da subito, da qualche clic su una piattaforma virtuale da cui è esclusa la stragrande maggioranza dei cittadini elettori del movimento. Così, alla faccia degli aneliti pseudo-rivoluzionari e dei voli pindarici dei primi “Vaffa day”, il Movimento si prepara a dotarsi di una struttura in grado di interagire col territorio di riferimento, pena il pericolo di una sicura sparizione tanto repentina quanto fulminea fu la genesi.
Di sicuro, delle cosiddette liste civiche di qualche anno fa poco è rimasto in termini di estemporaneità e di voglia di travestire nomi impresentabili sotto simboli più appetibili, mentre a giusto titolo i nomi ‘pesanti’ di questi rassemblement sono in grado di candidarsi sin da subito ai posti che contano negli esecutivi in via di formazione, acquisendo da subito un rilevante potere da spendere al momento opportuno al tavolo delle trattative politiche di governo. In tutti i casi, lungi dall’essere il chiaro segnale di una deriva ineluttabile, il proliferare delle liste civiche in tutte le elezioni amministrative di ogni ordine e grado non può più essere interpretato come la spia evidente dell’antipolitica che ammorba la società italiana, bensì una dimostrazione di come gli italiani non si sentano più vincolati a sigle ideologiche o schieramenti preconcetti quando si tratta di trovare risposte ai propri problemi. Sarà che gli anni ’70 sono per tanti un retaggio sfocato sempre più lontano e che oggi sempre più italiani trovano per nulla sconveniente, nel chiuso della cabina elettorale, passare da un campo all’altro dell’agone politico senza sconvolgimento alcuno.
Quale che sia l’interpretazione sociologica dell’arcano, oggi l’onda lunga della politica sembra restituire la ribalta ai movimenti strutturati in una ferrea impalcatura di partito, con una base presente e attiva, una dirigenza preparata e agguerrita e una leadership indiscussa, da sottoporre periodicamente al vaglio dei congressi. Una ribalta riconquistata grazie alla capacità di intercettare i bisogni del popolo coagulandone i consensi: una capacità che sembra essere il pane quotidiano di Salvini, il leader italiano che oggi appare più in grado di proporre idee per cui combattere e di manifestare il coraggio di difenderle, mettendoci sempre e comunque la propria faccia.
Nicola Silenti
(sardegna.admaioramedia.it)