L’8 aprile 1948, il quotidiano “L’Unione Sarda”, nella rubrica “La campagna elettorale” riportava questa cronaca: “In piazza Yenne alle 19.30 il professor Deledda (Partito Nazionalista) ha presentato alla cittadinanza il generale Antonio Basso… deplorando che mentre si tollera la presenza e l’azione di uomini politici asserviti alla Russia, sono in prigione Graziani e il principe Borghese che vollero tenere fede al loro ideale”.
Prima di addentrarci sulla figura del generale Antonio Basso, è necessario sapere cosa fosse il Partito nazionalista, anzi, più precisamente, il Partito nazionalista della democrazia sociale. Nel 1948 ne è leader l’onorevole siciliano Emilio Petrassi, eletto deputato alle elezioni del giugno 1946 per la Costituente nella lista dell’Uomo qualunque. Nel luglio 1947, ebbe pure un duello col socialista Paolo Treves. A settembre, ruppe con Guglielmo Giannini e L’Uomo qualunque e fondò il Partito nazionalista per la democrazia sociale, presentandosi alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, ma non fu eletto. Non ci sono molte notizie sulla diffusione di questo partito in Sardegna. La prima è del quotidiano L’Unione Sarda (26 febbraio 1948) in un articolo dal titolo “La sezione nazionalista di Carbonia intitolata a Italo Stagno“: “La sezione nazionalista di Carbonia è stata intitolata a Italo Stagno, il valoroso ufficiale degli alpini, caduto nella durissima prigionia russa, nella triste e accorata nostalgia della sua terra e dei suoi cari e dei suoi cari”. La seconda, riportata sempre dall’Unione Sarda (3 aprile 1948): “Dal dottor Deledda segretario del Movimento nazionalista per la democrazia sociale riceviamo: ‘Da elementi in nostro possesso e da una notizia apparsa ne L’Ora d’Italia del 1° aprile, ci risulta che richiesto da alcuni giornalisti della sua opinione sulla parte del comunicato che si riferisce al Msi, l’on. Patrissi ha dichiarato che il Movimento nazionalista deplora quanto detto nel comunicato stesso”.
I risultati elettorali non premiarono il Movimento nazionalista: alla Camera dei deputati prese 56.000 voti, al Senato 27.152 e Patrissi non fu eletto. A Cagliari, il Movimento prese appena 96 voti. Certo il Generale non deve averla presa bene, perché, non a torto, pensava che la sua presenza nell’Isola dal 1940 al 1943, in qualità di comandante in capo di tutte le forze armate di stanza in Sardegna e, dal maggio 1943 di governatore dell’Isola, avesse risparmiato ai Sardi non poche di quelle sventure che subirono invece le popolazioni del continente a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Ma si sa, che gran parte dei Sardi, come il resto delle popolazioni d’Italia, nel 1948, si recò a votare più con l’assillo di evitare future sventure che trarre un bilancio di tutto quello che era capitato tra capo e collo tra il 1940 e il 1945. Solo molto più tardi, esattamente il 14 dicembre 2009, il sindaco di Cagliari, Emilio Floris, nel corso di una cerimonia, alla presenza del nipote, il generale dei carabinieri Alessandro Basso, gli intitolò una piazza posta tra via Fermi e via Darwin. “Un riconoscimento doveroso, forse un po’ tardivo – commentò l’allora assessore comunale alla Pubblica istruzione, Edoardo Usai – per un uomo che ha svolto un ruolo fondamentale in uno dei momenti più drammatici della storia della Sardegna”.
Di questi momenti drammatici della nostra storia ben poco si sa. Dobbiamo alla bravura di un grande studioso della storia militare della Sardegna, Emilio Belli, se queste vicende sarde hanno suscitato interesse e attenzione presso storici, studiosi, intellettuali non condizionati dal politicamente e storicamente corretto: “Le vicende legate all’8 settembre 1943 – ha scritto Belli – sono conosciute, almeno per quanto riguarda il ‘trasferimento’ del Re, del Capo del governo e dei vertici militari a Brindisi, l’umiliante consegna della flotta da guerra a Malta e la dissoluzione dell’Esercito, che come diretta conseguenza portarono all’occupazione straniera del territorio nazionale e alla disgregazione dello Stato. Da tale sfacelo si salvò la Sardegna, dove le istituzioni ressero e nel complesso anche le Forze Armate, sia pure col morale scosso dalla ribellione della divisione paracadutisti Nembo, culminata con l’uccisione del tenente colonnello Alberto Bechi-Luserna, Capo di Stato maggiore della Divisione. La particolarità della situazione sarda è facilmente spiegabile. Fino al 7 settembre 1943, l’Isola costituiva per le potenze dell’Asse un fondamentale baluardo difensivo, ma il suo ruolo diventò marginale in seguito all’armistizio e con l’apertura del nuovo fronte incentrato sull’Italia Continentale”.
Venendo meno la minaccia di sbarchi nemici, i Tedeschi decisero di ritirarsi dall’area sardo-corsa, per cui la rottura dell’alleanza con la Germania non creò in Sardegna motivi di attrito, tanto che fra la proclamazione della resa ed il 18 settembre, giorno conclusivo delle operazioni di sgombero, non ebbero a verificarsi scontri di rilievo ed esecuzioni sommarie, tantomeno il disarmo in massa e la deportazione di militari italiani, come invece accaduto nella Penisola, nell’Egeo e nei Balcani. Naturalmente i momenti critici non mancarono, ma la contrapposizione, anche armata, tra Italiani e Tedeschi si mantenne a livelli accettabili senza trasformarsi, come sarebbe stato possibile, in conflitto generalizzato. Per leggere in modo obiettivo questa pagina di storia, bisogna mettere a fuoco le logiche dalle quali scaturivano le decisioni dei principali protagonisti: il generale Antonio Basso, comandante delle Forze armate italiane poste a presidio dell’Isola, ed il generale Carl Hans Lungerhausen, comandante della 90a Panzer grenadier division (il suo stemma era rappresentato dall’Isola con un pugnale sovrapposto), che affrontarono la situazione in base agli ordini ricevuti ed in piena sintonia con le proprie responsabilità.
Quei lontani giorni di fine estate furono piuttosto difficili per il generale Basso, soprattutto a causa di alcuni fatti particolarmente problematici, come la ribellione della Nembo e l’occupazione tedesca di La Maddalena. Di questi avvenimenti si possiede ancor oggi scarsa conoscenza, come del ruolo svolto dal responsabile militare della Sardegna, che nel periodo del suo comando, iniziato nel novembre 1940, dimostrò decisione e capacità organizzativa, dando volto e consistenza alla difesa costiera e cercando di gestire nel modo migliore la fase post-armistiziale. Il generale Basso, in ringraziamento per aver risparmiato alla Sardegna lutti e distruzioni e per aver tenuto alto l’onore delle nostre forze armate tra il disonore generale, fu arrestato nell’ottobre 1944 dai suoi superiori felloni, che l’8 settembre si erano dati alla fuga e si erano nascosti abbandonando i propri reparti, con l’accusa di non aver ottemperato all’ordine di attaccare i tedeschi in ritirata. Perché il generale Basso non ritenne opportuno attaccare i tedeschi lo spiega Belli: “La sera dell’8 settembre i generali Basso e Lungerhausen ebbero modo di valutare le rispettive posizioni; l’armistizio, sostanzialmente, costringeva italiani e tedeschi a schierarsi in campi opposti e, stando agli ordini del Comando supremo, la potente unità germanica presente in Sardegna andava eliminata, l’eventualità di combattimenti, però, perse di significato quando Basso apprese che il Feldmaresciallo Kesserling aveva disposto il trasferimento della grande unità tedesca sul continente, passando per la Corsica. l’esigenza germanica non essendo riconducibile ai presupposti della Memoria O.P.44 (disposizione del Comando supremo in previsione di un attacco tedesco, nda). La disposizione fu recepita con favore dal comandante italiano, offrendogli l’opportunità di sbarazzarsi rapidamente dell’ormai ingombrante presenza dell’ex alleato. Si giunse quindi all’intesa sulle modalità di sgombero”.
Se è vero che l’agire accorto di Basso e di Lungerhausen ha fatto sì che i Sardi non soffrissero inutili lutti e sofferenze, sono ancora più importanti le conseguenze nella storia della Sardegna. La Sardegna fu l’unica regione d’Italia a non aver conosciuto la ‘liberazione’: niente folle plaudenti a raccogliere caramelle e gomme americane, solo risse continue in quel di Cagliari tra militari alleati strafottenti e militari e civili sardi, che in genere avevano la meglio grazie al classico e caratteristico colpo di testa. Tra i vari aneddoti, il Comando alleato che protestava perché la Milizia fascista non rispondeva al saluto dei militari alleati. C’è un altro grande dono fatto alla Sardegna: niente occupazione e quindi niente resistenza e sopratutto niente guerra civile, con quel tanto di odi, rancori, vendette tramandati di generazione in generazione che ancora oggi avvelenano la convivenza civile in tante zone d’italia. E se la ‘morte della Patria’ è una frase che non ha mai avuto cittadinanza in Sardegna, oltre a ringraziare noi sardi stessi, per quello che allora facemmo, un grazie postumo al generale Basso, pecora nera dello Stato maggiore italiano non cresciuto alla scuola di Badoglio.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)