E’ proprio vero che la legge può più del buonsenso? Che la logica, il senno o il raziocinio hanno bisogno di un sigillo formale del legislatore per avere efficacia nelle nostre sciagurate esistenze di comuni cittadini? Davvero l’esperienza quotidiana nulla conta senza il marchio a fuoco della legge per avere efficacia?
Quale che sia l’opinione di ognuno, non si può fare a meno di ammutolire davanti a provvedimenti come quello recente del Consiglio regionale della Sardegna sulla cosiddetta ‘doppia preferenza di genere’. Una norma che consentirà agli elettori dell’Isola, alle prossime elezioni, di poter votare sia un uomo che una donna della stessa lista elettorale, accogliendo così il principio che merito e capacità siano una questione di genere e non, più volgarmente, dello spessore del singolo essere umano, al di là del sesso di ciascuno.
Una norma che, a ben vedere, si inscrive sull’onda lunga dei desiderata di chi pensa che il segno massimo del rispetto che si deve alle donne sia introdurre l’obbligo dell’obbrobrio linguistico tanto in voga di questi tempi: quello di chi pretende con forza di legge che un sindaco del gentil sesso sia chiamato “sindaca”, un ministro “ministra” e un prefetto “prefetta”. Una corrente di pensiero consacrata al fulgido e rossissimo esempio di alcuni personaggi istituzionali, una corrente che si nutre dell’avversione più profonda verso tutti i volgari e gretti sessisti, che ancora si rifiutano di infarcire il proprio frasario quotidiano di meraviglie lessicali come “architetta” o “medica” o “avvocata”.
Eppure, basterebbe guardarsi intorno per accorgersi che tanto, tantissimo della vita reale è illuminato dalla presenza delle donne: nel lavoro, nella scuola, nello sport, nella politica. Ovunque, e senza bisogno di quote rosa o rosèe. Un mondo che consente a noi uomini di appassionarci, emozionarci, entusiasmarci di una vita che nulla sarebbe senza la grazia del ‘gentil sesso’.
Nicola Silenti
(admaioramedia.it)