Un video di propaganda per diventare gay, con protagonisti un gruppo di militanti omosessuali in versione ‘sfilata pride’, con costumi carnevaleschi, piume, trucco e parrucco e che, con tanto di lingua di fuori e sguardi ammiccanti, si rivolgono a un bambino che cammina accanto a sua madre, ovviamente omofoba e superisterica, la quale non vuole che suo figlio li guardi, ma invano: il piccolo non può che essere attratto dai personaggi quasi fiabeschi e, come nei migliori incantesimi delle favole, avvolto all’improvviso da una sbuffante nuvoletta fucsia, si trasforma istantaneamente in un gay, con tanto di movenze alla Paolo Poli e ghirlanda colorata improvvisamente materializzata attorno al collo.
“Troppo tardi, mamma! Ho già visto tutto! E’ fa-vo-lo-so”, dichiara trionfante alla mamma, e poi la scritta: “Diventa gay anche tu”. Più chiaro di così il video del gay pride appena celebrato in Sardegna non poteva essere: guardate come è bello, affascinante, conturbante, essere gay. Il messaggio è esplicitamente propagandistico: siamo tanti, siamo insieme, colorati, visibili e unici, speciali, insomma. E se solo riesci a guardarci, a entrare in contatto con noi, sicuramente resterai conquistato, e sarai dei nostri. E’ inquietante e non casuale la scelta di chi ha progettato lo spot: la persona evidentemente disturbata che urla sguaiatamente “non guardare non guardare non guardare” al ragazzino, nemica dei gay, è sua madre (e quanta bella psicanalisi si potrebbe fare su questa scelta, e sulla evidente misoginia che esprime!). Immaginiamo lo stesso spot a parti rovesciate: due maschi omosessuali a passeggio con un bambino, che incontrano una famiglia con padre e madre e figli. I gay urlano con facce stravolte al piccolo “non guardare non guardare non guardare”, ma il piccolo, affascinato dalla famiglia che ha di fronte, si volta verso i due uomini e dichiara: “Troppo tardi, adesso ho visto cos’è una mamma! E’ fa-vo-lo-sa!”. Cosa sarebbe successo? Un putiferio. Denunce, sdegno, Scalfarotto che inizia lo sciopero della fame per la sua legge dimenticata sull’omofobia, interrogazioni parlamentari, raccolte di firme ed esposti contro gli autori che ne escono a pezzi e perdono il lavoro, e chi più ne ha più ne metta.
Un po’ quello che è successo negli stessi giorni a proprio a Cagliari, dove un sacerdote, Don Massimiliano Pusceddu, è stato prima oggetto di un linciaggio mediatico e di denunce ad opera della comunità Lgbt, e poi pubblicamente smentito e oggetto di sanzioni disciplinari da parte del suo vescovo, Monsignor Arrigo Miglio, il tutto per una dura omelia in cui Don Pusceddu ha criticato la legge sulle unioni civili e i comportamenti omosessuali, leggendo anche alcuni passi della lettera di San Paolo ai romani, che riportiamo di seguito: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento.” Ma il punto su cui si sono concentrati gli attacchi è questo: “E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa”. Attribuendo a Don Pusceddu ciò che è di San Paolo (che era cittadino romano e stava scrivendo alla comunità cristiana di Roma, si riferiva alle abitudini sessuali del mondo romano che conosceva bene, e per questo insisteva sull’omosessualità) quasi tutti i commentatori hanno concluso che il prete augura la morte ai gay. Ma le parole erano di San Paolo, ripetiamo, e anche se con tutta evidenza si tratta di morte spirituale, nessun cattolico, vescovi compresi, può espungere il grande santo dalla dottrina.
Riccardo Cascioli sulla “Nuova Bussola Quotidiana” ha raccontato i fatti e segnalato il durissimo comunicato di risposta del vescovo di Cagliari, il quale dopo aver accusato il sacerdote di “aver falsato il pensiero di San Paolo”, ha invocato l’amore contro ogni discriminazione, ha chiesto scusa a “tutti coloro che si sono sentiti feriti in questa vicenda” e ha pubblicamente imposto il silenzio al sacerdote: “All’interessato rinnovo la richiesta di osservare un congruo periodo di silenzio totale”. Ci chiediamo quale sacerdote oserà più leggere San Paolo dopo tanta reprimenda: in nome dell’amore e della misericordia l’arcivescovo è riuscito a silenziare addirittura l’apostolo delle genti, dando ragione agli Lgbt. Non ci risultano invece, a tutt’oggi, segni di vita da parte della diocesi di Cagliari a proposito del video del gay pride locale, con l’invito a diventare tutti gay, minore incluso: evidentemente “love is love” non solo per Obama.
Assuntina Morresi (da “L’Occidentale” – 29 giugno 2016)
(admaioramedia.it)