Atterro a Palermo, aeroporto Falcone-Borsellino, nel pomeriggio di una giornata afosa. Nel mio immaginario, la strada che ci porta in centro è quella che a un certo punto incrocia Capaci, dove il giudice Falcone venne ucciso. In realtà, non è solo un’immagine iconica. Chiedo al tassista: è qui che ci fu l’attentato? E lui risponde: esattamente qui.
Penso a queste cose nel giorno dell’anniversario della morte di Paolo Borsellino. Venticinque anni dopo, cifra tonda. Un’eternità, se vogliamo. O un soffio, per come il tempo è volato via. Ogni italiano ricorda quei giorni. Lo stesso caldo. La gente al mare. Le notizie di uno Stato messo sotto attacco dalla Mafia. La mia generazione è cresciuta così. Nel ricordo e nella rabbia. Ecco perché era impossibile non esserci e partecipare alla tradizionale fiaccolata in onore di Paolo Borsellino, che era uno di noi. Non solo un magistrato eroico ma un faro, un punto di riferimento. Il meglio per chi pensa al rispetto delle istituzioni, all’amore per il proprio lavoro e alla propria nazione. Non sono parole retoriche. Si usano poche volte, quando è giusto usarle. Quando è giusto ricordare. E la fiaccolata, i ragazzi che vendono le magliette, le candele illuminate, sono un modo di dire ogni anno, ci siamo, il ricordo e l’esempio vivono.
Si attraversano i lunghi viali che portano a via D’Amelio. Si parla a bassa voce. Si salutano tutti. Tutti i protagonisti di una stagione politica, che è quella della destra italiana e della sua diaspora attuale. Serve Paolo Borsellino per rimetterci insieme almeno per una sera. Palermo è bella, misteriosa, complicata. Solo gli isolani si capiscono. Piano piano, il corteo arriva sul luogo della strage. Guardi il palazzo dove abitava la madre di Borsellino. Il cancello visto e rivisto in migliaia di immagini. Molte cose sono cambiate, ovviamente. Ma lo spazio è quello. La storia è lì. C’è un ulivo, ognuno ci appende quello che vuole. Una foto, un pensiero o un oggetto. Ci sono i ragazzi dell’agenda rossa. C’è una storia che ancora non è chiara. La trattativa, i depistaggi. Le trame controverse. E la solitudine di Borsellino. Siamo morti che camminano, disse dopo la morte del suo fraterno amico, Giovanni Falcone. Quello fa davvero rabbia, venticinque anni dopo.
Bruno Murgia – Deputato di Fratelli d’Italia
(admaioramedia.it)