Il 23 marzo 1919, in piazza San Sepolcro a Milano, vennero fondati i Fasci italiani di combattimento, movimento politico guidato da Benito Mussolini, e venerdì prossimo (29 marzo, alle 18, sala convegni del centro culturale “Il Lazzaretto”) a Cagliari, l’associazione culturale “Vico San Lucifero” ha organizzato un convegno storico: “23 marzo 1919, piazza San Sepolcro: nascita dei Fasci italiani di combattimento”.
Appena avuta notizia dell’appuntamento, nei giorni scorsi, il coordinatore regionale dell’Anpi (l’associazione dei partigiani italiani), Marco Sini, si è pronunciato in maniera lapidaria: “Il fatto che si tenga l’incontro è da considerare negativo”. Fin qui tutto normale. Anzi, è da prendere atto che, tutto sommato, il tono è civile. Convince meno la motivazione del mancato gradimento: “…è un convegno storico rievocativo e di plauso per quella data nefasta per gli italiani e per la democrazia: commemorare significa ricordare con piacere, non questo”. In verità, commemorare non significa affatto ricordare con piacere (in genere si commemorano i morti) ed un convegno storico è per sua natura rievocativo. Inoltre, ribadiamo, anche a Sini, che è un convegno storico, cioè, come ci insegna la scienza storica da Erodoto a Renzo De Felice, scevro da valutazioni positive o negative, ma teso unicamente a comprendere e spiegare gli avvenimenti di quell’epoca. Non è ipocrisia. Se avessimo voluto fare una manifestazione ‘di plauso’ e diciamo pure apologetica l’avremmo fatta, e non ci sarebbe stato niente di illecito: l’avremmo potuta fare benissimo in piazza Gramsci, di fronte ai fasci littori fatti restaurare di recente dal sindaco Zedda (nelle colonne di un cartello pubblicitario d’epoca), avendo per giunta alle spalle i fasci del monumento ai caduti, dove l’Anpi depone tutti gli anni la corona per onorare i propri caduti.
Marco Sini giudica la data del 23 marzo 1919 “nefasta per gli italiani e per la democrazia”. Sono affermazioni di carattere politico, si è padronissimi di accettarle o meno. Ma ciò che non è storicamente accettabile è che i fasci del 1919 avessero un programma antidemocratico, se non altro perché tutti i loro componenti provenivano dalla cosiddetta sinistra interventista, cioè repubblicana, socialista, sindacalista rivoluzionaria e persino anarchica. Il programma dei fasci chiedeva il suffragio universale allargato alle donne, il voto ai diciottenni, l’abolizione del Senato di nomina regia, la convocazione di una costituente per stabilire la forma dello Stato. Quel programma era tanto antidemocratico che il Partito comunista, nel 1936 dalla Francia, lanciò il cosiddetto appello “Ai fascisti in camicia nera“, firmato da 36 esponenti del partito, col quale si dichiaravano disponibili a collaborare col regime fascista proprio in base al programma fascista del 1919.
Piuttosto, caro Sini, smettetela una volta per tutte con questa strumentale sacralizzazione della democrazia. Anche Antonio Gramsci la pensava diversamente, quando sul quotidiano “l’Avanti” del febbraio 1916 scriveva: “La democrazia è la nostra peggior nemica, è quella con la quale dobbiamo sempre essere pronti a fare a pugni, perché intorbida il limpido distacco dalle classi, e vorrebbe quasi diventare le molle della carrozza che servono a far pesare meno sulle ruote il carico dei passeggeri ed evitare gli scossoni che possono far ribaltare”. E ancora sul “Grido del popolo” nell’ottobre 1918: “La democrazia esplica una funzione morbosa di confusionismo, di scrocco, di predicazione dell’incoerenza. E’ impaludamento più che effettivo progresso”.
Angelo Abis
(sardegna.admaioramedia.it)