Hanno anche fatto una modifica statutaria per farsi coraggio e dire che ci sono ancora. A sprezzo del ridicolo si può diventare ‘partigiani’ anche all’età di diciotto anni, purché ci si impegni a tenere viva la fiaccola dell’odio che alimentò, più di 70 anni fa, la guerra civile. Una macchina perfetta, come quella del moto perpetuo: alimenta se stesso e non finisce più. L’Anpi (associazione dei partigiani italiani) è questa roba qui, ormai. Ed anche in occasione del convegno storico “23 marzo 1919, piazza San Sepolcro: nascita dei Fasci italiani di combattimento”, organizzato a Cagliari (venerdì 29 marzo, alle 18, nelle sala convegni del centro culturale “Il Lazzaretto”) dall’associazione culturale “Vico San Lucifero”, l’Anpi ha fatto sentite la sua protesta: “Il fatto che si tenga l’incontro è da considerare negativo”.
Giorni fa è stata dedicata a Giorgio Almirante la più grande piazza di Ladispoli, vicino Roma. Apriti cielo. Oltre a sigle che appartengono alla recente archeologia politica italiana, sono arrivate le truppe cammellate dell’Anpi locale. Così abbiamo scoperto che a Ladispoli, villaggio di pescatori arrivati dalla Campania, scoperto da Rossellini come luogo di vacanze estive e solo da qualche anno diventato ‘dormitorio‘ dei rumeni che lavorano nella Capitale, ci sarebbe stata la Resistenza, con tanto di partigiani! Una scoperta che ha dell’incredibile. Nessuno ne aveva mai saputo niente. Nessuno si era mai accorto di fatti, gesta e personaggi arruolabili senza pudore nelle sparute schiere resistenziali. L’industria della divisione ancora funziona. Nell’Italia di oggi è così. Vuoi trovare un posto in prima fila? Mettiti al collo un fazzoletto dell’Anpi e fatti avanti. Ti si apriranno le strade giuste, vedrai. Anpi Anpi Über Alles!
L’Italia del Duemila ha davvero bisogno di questa roba che sa di rancido e che evoca contrapposizioni, odi, fratture, ferite aperte? O piuttosto ha bisogno di una aria in cui tutti si possa essere liberi di coltivare non solo le proprie radici ideali e culturali, quelle che gli sono proprie, ma anche le memorie più care delle quali nessuno ci potrà mai privare, perché privarcene vorrebbe dire strapparci l’anima di dosso. Impossibile. L’Italia ha bisogno di uscire da questo lungo, infinito dopoguerra che non finisce. Lo può fare con un atto di coraggio ma deve essere il vertice della Comunità nazionale a volerlo, a crederci, a imporlo. Per quanto oggi appaia difficile immaginarlo, questo è l’unico modo realistico per farlo. Altre strade sono state battute, con maggiore o minore convinzione.
Cito il primo Msi non solo perché si tratta di una esperienza storica importante e emblematica ma anche perché molti Sardi sanno di chi e di cosa sto parlando. Era nato da pochi anni e una della prime battaglie del Movimento sociale sia in piazza sia in Parlamento fu quella della pacificazione nazionale. Mozioni, documenti di ogni tipo presentati al Senato e alla Camera, nei Consigli provinciali e in quelli comunali, ovunque. E ripresentati ad ogni inizio di legislatura. Atti pubblici che non volevano essere destinati a fare ‘magazzino‘, ma erano grida alte e forti per dire: così non si può andare avanti. Nell’arco dei cinquanta anni di vita del Msi le risposte a questi appelli furono zero. Nel 1960 (a Genova) sorse una conventio ad excludendum ribadita una decina d’anni più tardi dall’invenzione demitiana dell’arco costituzionale che tagliò fuori, non soltanto dalla politica politicante, tutto un mondo, quello rappresentato appunto dal Msi: fuori dalla cultura che conta, fuori dall’economia che conta, fuori dall’informazione che conta, fuori dall’immaginario collettivo di una Nazione che vuole essere tale. Erano nati i paria della neo-democrazia antifascista italiana.
Non smettere mai di leggere e di rileggere e poi di studiare e ancora studiare la nostra storia non deve essere una furbesca fuga dalla realtà; deve significare la ricerca inarrestabile proprio delle ragioni che uniscono. Perché un popolo che non ha memoria non ha futuro. Ma non ha futuro neanche un popolo che vive solo di un pezzetto del suo passato. E rifiuta di considerare Memoria, con la emme maiuscola, tutta la vita passata della sua Comunità. Proprio come l’Italietta di oggi.
Massimo Magliaro (direttore della rivista “Nova Histiorica”)
(sardegna.admaioramedia.it)