Qualche promessa e pochi spiccioli, specialmente in campagna elettorale, non si negano a nessuno. Tanto poi si trovano tante scuse per rimangiarsi le promesse e tagliare gli spiccioli pagati.
Succede sempre così e succederà anche dopo che domani, giovedì, a Roma si sarà solennemente raggiunto l’accordo per il ‘prezzo del latte’ ed ai pastori saranno offerti 80 centesimi a litro, “salvo conguaglio”, per arrivare ad un prezzo finale di 1 euro al litro. Tutte cose già viste, perché il prezzo del latte crolla ciclicamente, quando il mercato non è in grado di smaltire tutto il pecorino romano prodotto in Sardegna ben oltre le quantità richieste dal mercato, principalmente quello statunitense. L’errore che fanno gli allevatori, ma ne fanno molti altri, è di accettare che il prezzo del latte sia ancorato a quello del romano. Ma trasformatori privati e cooperative producono e vendono anche altri tipi di formaggio, che spuntano sui mercati nazionale ed esteri prezzi ben superiori a quelli del romano. Ed i molti casi i prodotti, di ottima qualità, vengono venduti a trenta o sessanta giorni, quindi con incassi in tempi brevi. Una buona metà del latte prodotto viene trasformato in caciotte, molli, misti, semicotti, fiore sardo o pecorino sardo. Perché allora usare come base di calcolo il romano?
Altro aspetto dolente, gli industriali privati fanno il loro mestiere: ci mettono i soldi, trasformano, vendono, vanno sui mercati, anche quelli marginali e vogliono guadagnare. Pagano il latte, legando i produttori col sistema delle caparre autunnali e fissando loro il prezzo di acquisto, “salvo conguaglio finale”. Che non arriva mai. Nel mercato ‘libero’, però, il prezzo lo fanno i produttori, in base ai loro costi di produzione, per i latte ovino si calcolano circa 70 centesimi al litro. Una base reale dalla quale partire. Ma in Sardegna il mercato non è ‘libero’, perché gli allevatori o vendono il latte agli industriali, o lo conferiscono alle cooperative, o lo trasformano in azienda. Le cooperative, nelle regioni più evolute, rappresentano una garanzia di sopravvivenza per gli allevatori seri, che producono bene e sanno di poter avere una alternativa valida ai trasformatori privati. Ma da noi? Quante sono le cooperative serie ed efficienti? Quante sono quelle che vogliono andare direttamente sul mercato, per spuntare prezzi migliori e pagare il latte dei soci in modo più equo? Quante sono quelle amministrate da allevatori che guardano oltre il loro naso e che vogliono diventare imprenditori, anche di se stessi? Quante di queste hanno dirigenti tecnici ed amministrativi in grado di leggere l’andamento e l’evoluzione dei mercati? Allora, quale alternativa rappresenta il mondo della cooperazione, se poi sotto sotto scende a patti con i privati e ne accetta prezzi e condizioni?
Le proteste di questi giorni, eclatanti, hanno portato la lotta dei pastori sulle scene nazionali ed internazionali (ma il latte non si butta, lo si regala o lo si trasforma in azienda, come si faceva in altri tempi), hanno fatto capire che tutto il comparto agricolo sardo è in gravissima crisi. I pastori hanno usato le maniere forti, ed ottenuto qualche promessa ed un sigaro di consolazione, come usava in altri tempi; ma tutti gli altri produttori isolani sono allo stremo. E questa Regione, inutile e deleteria, questa strutture burocratiche inefficiente ed ostili, questi consorzi di tutela e di valorizzazione che non servono proprio a nulla, queste organizzazioni professionali e dei produttori che non conoscono la realtà che dovrebbero rappresentare e tutelare, aggravano con la loro assoluta incapacità, una situazione generale drammatica. E non bastano più poche promesse elettorali ed il ‘regalo’ di qualche centesimo.
Cochise
(sardegna.admaioramedia.it)