Recentemente, dopo le violente precipitazioni che hanno provocato nuovi ingenti danni, specialmente in Gallura, molti sindaci sardi hanno lamentato il 'disimpegno' dei Consorzi di bonifica dalla gestione e dal controllo delle zone dove maggiori sono i rischi ambientali e più preoccupanti le situazioni idro-geologiche. In parole povere, superando linguaggio e denunce politico-burocratiche, hanno criticato i Consorzi di bonifica, che sino a qualche anno fa intervenivano per “bonificare le zone a rischio”, in modo da prevenire i sempre possibili disastri causati da precipitazioni copiose e violente, per non aver “messo in sicurezza” i territori di loro competenza. Ma i Consorzi di bonifica, dopo la riforma Soru (quando si esamineranno, con attenzione, i danni provocati dal sire di Seddori, non corretti dai suoi successori, sarà sempre troppo tardi), non possono più operare come una volta e non possono adempiere ai compiti per i quali sono stati istituiti, nei lontani Anni Trenta.
Un po’ di storia… I Consorzi sono nati da una illuminata intuizione del professor Arrigo Serpieri, studioso e ministro di fama internazionale, col compito di 'bonificare' tutto il territorio nazionale, intervenendo anche per mettere ordine nel delicato sistema ambientale nazionale, caratterizzato da un impressionante numero di siti dove è molto probabile un disastro idro-geologico. I Consorzi di bonifica, amministrati dai rappresentanti degli 'utenti' (in maggioranza imprenditori agricoli che partecipavano, proporzionalmente alle superfici consorziate ed ai servizi ricevuti, alle spese di gestione degli stessi enti) hanno svolto ottimamente il loro compito ed ancora lo svolgono, in maniera egregia, nelle zone d’Italia dove possono operare 'liberi' dai condizionamenti di questa inutile classe politica. In Sardegna le cose sono andate diversamente, perché il Soru-pensiero non prevede che le persone, gli individui, gli imprenditori, piccoli o grandi, possano pensare e decidere del loro destino. Quindi, i Consorzi sono stati quasi completamente svuotati dei loro compiti istituzionali e ridotti a gestori delle reti per l’irrigazione e di pochi altri servizi. Molti dei loro compiti sono stati distribuiti tra l’Enas (Ente acque della Sardegna), un 'baraccone' istituito sulle ceneri dell’ormai morituro Eaf (Ente autonomo Flumendosa), le Province (soppresse perché giudicate inutili) ed i Comuni, senza soldi e senza tecnici in grado di controllare i territori di loro competenza (costretti, quindi, a rivolgersi ai Consorzi per gli interventi più urgenti e delicati).
Risultato della gloriosa ed innovativa riforma? Il territorio non è bonificato; non è possibile prevenire o intervenire, tempestivamente, per evitare i danni di diversa origini; le manutenzioni ordinarie e straordinarie sono rinviate alle calende greche, sino a quando non si trovano i soldi e nuovi accordi, per piccoli e parziali interventi, con gli stessi Consorzi. Bel risultato. Da troppo tempo in Sardegna, ma il virus si è diffuso anche in Italia, le riforme si fanno a capocchia, senza conoscere cosa si vuole riformare e perché. Specialmente, senza capire quali saranno i risultati delle riforme, così brillantemente pubblicizzate e demagogicamente sbandierate, spacciate come grandi e storiche risposte ai problemi della gente.
Cochise
(admaioramedia.it)
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