I Consorzi di bonifica, una grande intuizione degli anni Trenta, istituiti per migliorare e proteggere il territorio nazionale, sono essenziale strumento di tutela dell’ambiente e del progresso economico e sociale del comparto agricolo. I Consorzi garantiscono la bonifica del territorio, la difesa idrogeologia,, il controllo dei corsi d’acqua, la costruzione e gestione delle dighe, dei bacini di raccolta e delle reti anche per la distribuzione dell’acqua nei campi. Questi enti, inoltre, possono realizzare reti viarie e l’elettrificazione delle campagne. Compiti essenziali, in un sistema agricolo integrato e moderno; compiti importantissimi che, nelle altre regioni italiane, vengono svolti con grandissima professionalità e competenza. I Consorzi, altro aspetto importante, sono amministrati dagli stessi operatori agricoli, che pagano i servizi che ricevono e, proporzionalmente, contribuiscono alle spese generali e di gestione di queste ‘benemerite’ strutture.
In Sardegna la storia è diversa. Sino agli inizi degli anni Duemila, i Consorzi, con qualche eccezione, hanno svolto nel modo migliore i loro compiti, superando ostacoli frapposti da una burocrazia ottusa e dalle cervellotiche iniziative di una classe politica superficiale ed inconcludente. Alcuni Consorzi, nelle zone dove la pressione politico-sindacale era asfissiante, sono diventati carrozzoni quasi inutili, perché i loro organici sono stati gonfiati di impiegati amministrativi ed i finanziamenti pubblici sono stati utilizzati pessimamente, da qui lo stato comatoso dei Consorzi del Cixerri e del Basso Sulcis, incapaci di gestire reti irrigue di un migliaio di ettari, di prevenire inondazioni, di fornire servizi agli operatori delle loro zone. E carichi di debiti, perché i politici di turno hanno sempre perorato la causa dei consorziati che non volevano contribuire alle spese consortili, “tanto ci penserà mamma Regione”.
Poi è arrivato Soru, che ha rivoluzionato tutti gli enti, anche quelli di ricerca, le strutture che operavano nel comparto agricolo ed ambientale e sono cominciati i guai. Le dighe sono finite tutte nelle mani dell’Enas, l’agenzia delle acque della Sardegna; gli enti strumentali, come l’Ersat, e quelli di ricerca sono stati trasformati in agenzie, “per risparmiare i costi dei diversi consigli di amministrazione”, ed al loro posto sono arrivati i direttori generali ed i manager nominati dalla Giunta; sono stati modificati gli statuti dei consorzi, anche di quelli di bonifica, limitandone i compiti operativi trasferiti in parte, si fa per dire, a Comuni e Province, che non sono in condizioni di svolgerli; sono stati ridotti i diritti dei consorziati, ai quali in troppi casi si è anche permesso di non pagare quanto dovuto. Tutto questo per poter controllare completamente un settore di vitale importanza, condizionato dalle scelte della giunta e dell’assessore di turno, nelle mani di pochi politici spesso incompetenti, visti i risultati, e di pochi burocrati arroganti, presuntuosi e prepotenti. Poi ci si lamenta se il comparto è in pessima salute. Con queste riforme è da considerare ‘quasi morto’.
Cochise
(admaioramedia.it)