Mentre le elezioni regionali si approssimano, col rumoroso sottofondo della sacrosanta rivolta dei pastori, la Sardegna, oramai nel silenzio generale, diversamente da ciò che affermava una celebre frase di Piero Fassino, “non ha più una banca”.
Infatti, il Banco di Sardegna, la cui autonomia era già da anni fortemente compromessa dalla politica di omologazione industriale del socio di maggioranza Bper (Banca popolare dell’Emilia Romagna, il cui azionista di maggioranza è il colosso della ‘finanza rossa’ Unipol) rischia di cessare virtualmente di esistere, se non come mera ‘società prodotto’, secondo lo stesso triste destino della Banca di Sassari. L’8 febbraio scorso, il consiglio di amministrazione del gruppo emiliano ha perfezionato l’acquisto dalla Fondazione di Sardegna, presieduta dal potentissimo capocorrente del Partito democratico, Antonello Cabras, del 49% delle azioni dell’istituto di credito sardo presieduto da Antonello Arru, fratello del noto assessore regionale della sanità Luigi e, come lui, vicino a Renato Soru.
Tale operazione, secondo quanto ritengono molti esperti del settore determinerà il definitivo trasloco a Modena di cuore e cervello del polmone finanziario sardo, istituto di credito un tempo identitario e dalla presenza nel territorio tanto capillare da gareggiare con l’Arma dei Carabinieri (oltre 330 filiali nel territorio regionale ed alcune nella Penisola), con una verosimile forte riduzione di sportelli nell’Isola, con conseguenti ripercussioni sull’occupazione e sull’economia. E, almeno a un primo sguardo, non si direbbe essersi trattato di un buon affare, dato che il controvalore della cessione sarebbe pari a soli 287 milioni di euro (107 milioni in azioni Bper di pari valore, e 180 milioni in contanti destinati alla sottoscrizione di un bond subordinato), addirittura inferiore al valore nominale di circa 350 milioni di euro, e di gran lunga inferiore al corrispondente valore patrimoniale, che, in base a informazioni riportate dal quotidiano finanziario “Il Sole 24 Ore”, sarebbe di poco inferiore a 600 milioni di euro.
Salvo che non si sia in presenza di considerevoli passività occulte, effettivamente l’operazione desta più di un interrogativo, dato che poco più di un anno fa (novembre 2017) la Fondazione di Sardegna e Bper avrebbero chiesto ai potentissimi fondi americani BlackRock, con cui erano allora in trattativa, ben 850 milioni di euro per l’80% complessivo del capitale, offerta rifiutata dal colosso statunitense che tra l’altro, diversamente dagli emiliani, pare avesse intenzione, nell’ipotesi di acquisizione, di rafforzare il carattere ‘identitario’ e locale del Banco di Sardegna, ritenendo tale politica industriale idonea a consentire all’istituto di credito di riconquistare le posizioni perdute in questi anni sul mercato.
Comunque vadano le elezioni regionali, la ‘provincia sarda’, sotto il profilo bancario e finanziario, verrà, quasi certamente, irreversibilmente assoggettata al robusto ‘impero emiliano’; sarà certamente curioso verificare se Massimo Zedda, che ha da tempo tra i suoi più convinti sostenitori, insieme a Paolo Fadda, proprio Cabras, anche a questo riguardo riuscirà a inventarsi “tutta un’altra storia” rispetto alla consueta sonnacchiosa assenza, su questa triste vicenda, dell’attuale presidente della Regione Pigliaru. Quel che è certo è che la decadenza economico-sociale bussa più intensamente alle porte della Sardegna ogni volta che governano le sinistre, e se in questo Soru è stato imbattibile e Pigliaru un eccellente continuatore, da Zedda, la cui discontinuità politica coi protagonisti di queste brutte pagine di governo regionale esiste solo a chiacchiere, potrebbe solo arrivare il colpo di grazia.
Caesar
(admaioramdia.it)