Mentre Carles Puigdemont, si barcamena tra i giudici di mezza Europa, i suoi aspiranti emuli sardi, gli indipendentisti che considerano la Catalogna una “nazione sorella” – dimentichi di un secolo di guerra tra la Sardegna arborense e la Corona d’Aragona – dopo la solenne batosta elettorale rimediata dal Progetto AutodetermiNatzione, tentano di riorganizzarsi in vista delle prossime elezioni regionali.
Tra le tantissime sigle, destano, in particolare, attenzione le iniziative di ProgReS, formazione politica rimasta estranea all’eterogenea coalizione capeggiata dal giornalista Anthony Muroni, ora dimissionario dal ruolo di portavoce e coordinatore, che ha intrapreso contatti con soggetti politici non meno variegati di quelli presenti nel cartello sconfitto: dal Partito dei Sardi dell’ex fedele alleato del Pd, Paolo Maninchedda – del quale, a parte la difesa ad oltranza di Abbanoa e alcune polemiche contro la magistratura, non si ricorda nulla di politicamente trascendentale – a Unidos, contenitore politico creato dall’ormai ex deputato Mauro Pili, con il quale “è emersa l’esigenza di mettere in atto iniziative comuni per una più efficace difesa degli interessi nazionali sardi propedeutico alla realizzazione di un ampia convergenza nazionale delle forze politiche sarde, anche in vista dei prossimi importanti appuntamenti elettorali”.
Però, se il partito di Maninchedda ha dimostrato una certa solidità elettorale, non può dirsi altrettanto per la formazione dell’ex governatore Pili, che, dopo le regionali del 2014, ha fatto elettoralmente acqua da tutte le parti (vedasi il risultato da prefisso telefonico delle recenti comunali di Olbia), né può dirsi al di sopra di ogni dubbio la credibilità ‘sardista’ di Pili, a suo tempo cooptato direttamente da Silvio Berlusconi, alla stregua di un ‘intendente’ di Milano, come leader isolano di Forza Italia, al netto del suo attivismo di questi ultimi tempi che, nel raffronto tra il rumore fatto (molto) e i risultati ottenuti (pochini) ricorda da vicino il modus agendi del Movimento 5 Stelle.
Questi indipendentisti sembrano essere accomunati al movimento di Luigi di Maio (capace di offrire un “contratto elettorale” alla tedesca a quel Pd che il suo Movimento ha combattuto senza quartiere per cinque anni) anche da una certa incoerenza, essendo arduo comprendere come possa conciliarsi la pluriennale mobilitazione di tali forze a sostegno di istanze radicali con potenziali accordi con soggetti così radicalmente diversi come quelli di Maninchedda e Pili. La rovinosa caduta del Progetto AutodetermiNatzione, col suo velleitario progetto di mettere insieme, ‘alla catalana’, personaggi alquanto eterogenei, dal radicale Pierfranco Devias, all’ex dirigente Pd, Valentina Sanna, a soggetti spiccatamente di ‘destra’ operanti nell’Associazione Sardos, dovrebbe insegnare che in Sardegna la confusione culturale non paga, dato che il pragmatico elettore sardo, prima di gridare “Indipendentzia”, vuole sapere cosa ne verrebbe fuori e quando si leggono troppe perorazioni immigrazioniste nei programmi di un’aggregazione ‘sovranista’, i dubbi si moltiplicano in modo esponenziale.
Difficilmente un’altra aggregazione di questo tipo avrà un miglior futuro, considerata l’agguerrita concorrenza che, a prescindere dal centrosinistra che alle regionali presumibilmente ripeterà la disfatta delle politiche, sarà rappresentata soprattutto dai grillini, che stavolta, al netto del calo fisiologico che interessa il M5S alle elezioni regionali, sarà agguerrita e determinata alla vittoria finale. Ma forse, in misura ancor maggiore, dal Partito sardo d’azione, troppo vilipeso partito autonomista dalla storia centenaria, che, ad onta degli odiatori professionali da social network, insieme alla Lega ha conquistato una percentuale ragguardevole di voti, e che potrebbe detenere la vera golden share per dare una svolta politica all’Isola.
Caesar
(admaioramedia.it)