L’iniziativa raccontata nei giorni scorsi dalla Cgil sarda ha destato sorpresa, ma soprattutto perplessità: in Marmilla è in corso un progetto sperimentale, che vede nel flusso di migranti un’opportunità da cogliere, non un fenomeno da contrastare, “proponendo un nuovo modello di accoglienza, diffusa nel territorio e duratura perché incentrata sull’integrazione di interi nuclei familiari di migranti nelle attività economiche e sociali dei piccoli centri delle aree interne”, così hanno spiegato i dirigenti sindacali. Lo considerano uno strumento di rivitalizzazione di aree spopolate e di contributo al calo demografico.
I più fiduciosi hanno sperato fosse una ‘fuga in avanti’ del sindacato rosso isolano, ma senza saperlo hanno finito per essere i più ingenui. Pochi giorni dopo, a Roma, si è riunita la Ces (Confederazione europea sindacati) per affrontare la ‘questione immigrazione’: il non plus ultra del sindacalismo europeo, del quale ovviamente fanno parte Cgil, Cisl e Uil. Un incontro che ha chiarito come il progetto sardo si inserisce in una ben più ampia strategia, che vede la Marmilla come territorio-cavia. Infatti, il documento licenziato a fine riunione ha spiegato quale sia la strategia europea dei sindacati, che, come al solito, vedrà l’Italia in prima fila con cooperative ed associazioni caritatevoli pronte ad accaparrarsi i lauti finanziamenti nazionali ed europei.
Dai nostri sindacalisti molti si aspetterebbero preoccupazione ed attenzione per le migliaia di italiani disoccupati, alle prese con una crisi socioeconomica pesante, che con l’arrivo incontrollato di lavoratori più economici e più arrendevoli può solo peggiorare. Invece, nel documento (ovviamente firmato anche dagli italiani Camusso-Cgil, Furlan-Cisl, Barbagallo-Uil e Cantone della Federazione europea pensionati) si propone, oltre a maggior risorse per “operazioni continue di ricerca e di salvataggio”, di “valutare e migliorare il livello di istruzione e le competenze dei richiedenti asilo; aiutare i rifugiati ad integrarsi nel mercato del lavoro e nella società, difendendo diritti e parità di condizioni e di retribuzione; investire nei servizi pubblici e nella crescita economica a vantaggio delle comunità locali e di tutte le persone, indipendentemente dalla loro nazionalità”, garantendo l’impegno ad “esortare i servizi pubblici per l’occupazione a individuare, aggiornare e migliorare le competenze dei rifugiati, in modo da consentire loro un rapido accesso al mercato del lavoro”.
Che si tratti di una strategia, lo dimostra anche il discorso di Luca Visentini, segretario generale Ces, dove sono risuonate le stesse parole che in terra sarda abbiamo sentito pronunciare, oltre che dai sindacalisti della Cgil, anche dall’assessore regionale Arru: “L’inserimento dei rifugiati nel mercato nel lavoro rappresenta una sfida e un’opportunità al tempo stesso”. Un ritornello che suona ‘sinistro’ da tempo. Che risuonerà ancora più stonato alle orecchie del disoccupato sardo, soprattutto se intonato dai suoi sindacalisti di riferimento. Utile, però, per risolvere il problema della vocazione al tesseramento che ultimamente sta flagellando i sindacati nazionali. Infatti, come precisa il documento, “i sindacati tessereranno tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro nazionalità”.
Arsenico
(admaioramedia.it)
10 Comments
FaberSardo
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webnauta59
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gunnar28641
@admaioramedia @cgilnazionale @UILofficial @CislNazionale Vergogna, pur di non cedere la poltrona andate ad imbrogliare i senza niente.
arsenico2015
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m_selis
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Ignazio Berria
Questa è una fabbrica di parassitismo sociale, per i “migranti” e per i sindacati. I primi vogliono vivere nelle città ed essere mantenuti lì; i secondi hanno abbandonato la loro funzione di tutela dei lavoratori italiani, dimenticati dalla politica.
Giamma Sard
Questo è invece lo spazio pubblico delle banalità e della retorica destrorsa.
Ovviamente i migranti vorrebbero condizioni di vita migliori possibili ovunque si trovino, i sindacati fanno il loro, visto che funzionano attraverso tesseramenti e grazie al consenso dei lavoratori.Peraltro mi pare, rileggendo le parole della relazione Ces che non sia stato detto niente di insensato.
Ma sopratutto mi chiedo se in occasione delle proteste organizzate contro le inefficaci politiche nazionali e sopratutto regionali in tema di occupazione , dove erano i cittadini?….di certo non in piazza!
webnauta59
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