A 80 anni dalla promulgazione delle leggi sulla difesa della razza sono iniziate, invero con un certo anticipo e con molto clamore, sopratutto in funzione antileghista, le commemorazioni incentivate anche con il finanziamento pubblico. Tutto si svolge all’insegna dell’equazioni: così come le leggi razziali fasciste hanno precorso lo sterminio degli ebrei da parte del nazismo, così il ‘razzismo’ leghista preparerà un triste futuro per tutti i ‘diversi’. L’esito infausto delle elezioni politiche del 4 marzo e ancor più la costituzione di un inedito governo Lega-Cinquestelle, di fatto a trazione salviniana, ha fatto sciogliere come neve al sole non solo il paventato pericolo della montante marea fascista, ma anche ogni velleità di ‘processo’ alle leggi razziali.
Per venire alle cose di casa nostra, stupisce invece il totale silenzio della cultura sarda sul tema. Se è ben vero che i sardi, intellettuali e no, a partire dai primi del Novecento, hanno energicamente reagito al razzismo continentale nei loro confronti, è altrettanto vero che negli anni ’30 non furono poche le personalità sarde che presero posizione in favore dell’inedito razzismo e antisemitismo fascista del 1938, con accenti in genere diversi rispetto agli indirizzi nazionali, basandosi sopratutto sull’esaltazione della razza sarda facente parte a pieno titolo della razza ariana. Il più noto di questi personaggi fu Lino Businco (1908-1997). Laureatosi in medicina a Cagliari, fino al 1937 fu aiuto-incaricato nell’Istituto di Patologia generale dell’Università di Cagliari, per trasferirsi poi all’Istituto di Patologia generale dell’Università di Roma. Nel 1938, divenne vice direttore dell’Ufficio studi sulla razza del Ministero della Cultura popolare e nel dicembre dello stesso anno, membro del Comitato italo-germanico per le questioni razziali. Fu insignito da Hitler della croce rossa tedesca di seconda classe.Ciò che allora diede fama a Businco fu il fatto che egli fu uno dei dieci firmatari del famoso Manifesto sulla Razza. Ma ciò che più colpisce è il fatto che pur con simili precedenti il nostro, nel dopoguerra, pur senza manifestare alcun pentimento, ne, tanto meno fare delle abiure, proseguì la sua brillantissima carriera presso il Sovrano ordine militare di Malta, tanto da essere insignito, nel 1962, del titolo di commendatore della Repubblica. Invano alcuni parlamentari della sinistra protestarono. A loro maggior scorno, nella Grande enciclopedia della Sardegna, nel profilo si dice che Businco “fu ingiustamente accusato di razzismo”. Ma cosa ancora più eclatante è che detta Enciclopedia è in bella mostra nel sito Digital library della Regione sarda.
E pensare che, all’origine il razzismo di Businco fu di marca antiariana e antitedesca. Esordì già dal primo numero della rivista del Guf (Gruppo universitario fascista), nel mese di novembre 1934, con una malcelata superiorità che la razza mediterranea dimostrerebbe nei confronti delle razze nord-europee, le prime dedite alla creazione di “armonie” civili e artistiche, le seconde poco più che orde barbare sempre alla caccia di terre feconde da predare. Che il ‘primato’ della razza mediterranea su quella nordica fosse di bruciante attualità, lo spiega nello stesso numero del giornale prendendo di petto il razzismo tedesco: “La Germania di Hitler ha favorito le ricerche del genere, giungendo a creare una antropologia di stato…. Sono note le altisonanti asserzioni… diffuse ai quattro venti dai vari Rosemberg. Asserzioni che debbono essere combattute e disfatte sul terreno scientifiche”. Ma Businco abbandona presto i panni dell’antirazzismo ‘scientifico’ per scagliarsi con tono sarcastico contro la singolare asserzione di un Dante Alighieri germanico, replicando duramente, anche se a sua volta cadendo nel ridicolo con l’assimilazione del tipo morfologico di Dante a quello dei sardi più puri: “Concludendo il tipo morfologico dell’Alighieri ricorda nettamente quello etrusco e per riferirci ai gruppi viventi può essere ravvicinato a quello degli elementi più puri dei sardi odierni…”.
Le reprimenda di Businco non si indirizzarono solo verso i tedeschi, ma anche contro quei settori del fascismo che, dopo il conflitto etiopico, in assonanza coi camerati tedeschi, si erano schierati apertamente a favore non solo di una politica strettamente razziale, ma anche dichiaratamente antiebraica. Businco se la prende in particolare contro il giornalista Telesio Interlandi (fondatore nel 1938 della rivista “La difesa della razza”). E sul periodico “Sud Est” del gennaio 1937 scrive:” L’irrequieto direttore del “Tevere” e “Quadrivio” (Interlandi, nda) tutto preso dalla missione di difendere le facezie razzistiche dell’ottimo prof. Cogni… si affanna a cercare di diffondere in Italia i rimasugli di una pretesa scienza malamente raccattati al di là delle Alpi…”. Poi, proprio a partire dal 1938, Businco passò dall’altra parte della barricata, tanto da scrivere, nel 1940, sempre su “Sud Est”: “Abbiamo constatato che certi Pirellone e Vallone citano… queste tre opere dell’Ebreo Attilio Momigliano… Ma come? Non abbiamo gridato in tutti i toni che di ebrei non ne vogliamo? Non ne abbiamo fatto piazza pulita completamente? …Ricordo che quando fu iniziata la campagna antiebraica i libri dell’ebreo Stephan Sweig furono ritirati dal commercio. Ora che il regime ha iniziato la bonifica libraria i suoi volumi sono stati di nuovo messi in vendita con fascette editoriali di questo genere: “Stephan Sweig 3 edizione immenso successo“.
Invero, la rivista “Sud Est” non seguì Businco nel suo atteggiamento antiebraico. Solo nel settembre 1940 apparve l’unico articolo dichiaratamente antisemita dal titolo: “Ebrei rappresentativi – Sigmund Freud”, nel quale si afferma che “gli ebrei sono le famose ’eminenze grigie’ di tutte le rivoluzioni, di tutte le sommosse, di tutti gli sconvolgimenti…”. L’autore dell’articolo è Italo Mereu, singolare personaggio che nel dopoguerra si affermò come storico del diritto con un opera fondamentale: “Storia dell’intolleranza in Europa”. Approdato nei lidi radicali di Marco Pannella, si batté contro la condanna del noto presentatore Enzo Tortora. Razzista antelitteram fu certamente il più grande pittore sardo del ‘900 Giuseppe Biasi, ucciso nel maggio 1945 in quanto fascista repubblicano e filonazista. Nel dopoguerra si tentò di farlo passare addirittura per un antifascista, malgrado la sua collaborazione al giornale di Farinacci “Il regime fascista”. Biasi in fatto di razza così esordì: “L’uomo (il sardo) non è l’uomo che trovi tutti giorni, un gentiluomo che viene qui capisce subito che c’è una razza…”. Divenuto accanito difensore dell’arte sarda e nemico feroce del cosmopolitismo artistico, a partire dal 1935 manifestò anche idee antisemite scagliandosi contro il monopolio ebraico. Nel 1941 scrive al suo amico e pittore Alessandro Pandolfi: “Sono sempre sicuro che la guerra e l’inevitabile vittoria spazzeranno via i resti del movimento giudaico nell’arte italiana…”. Non fu da meno il più grande musicista sardo, Ennio Porrino. Nel numero 3 della rivista “La difesa della razza” (1941), Porrino pubblica un articolo dal titolo “La musica nella tradizione della nostra razza” , dove asserisce che “…questa babele artistica corrispondeva alla diffusione delle teorie disgregatrici dell’internazionalismo, quando ai principi costruttori dell’umanità e delle religioni si sostituirono quelli demolitori di un ebraismo antisociale e antiumano e quelli corruttori dell’ateismo…”.
Questa rassegna dei razzisti sardi, certamente incompleta, si conclude con Paolo Rubiu che nell’articolo “Gente sarda antisemita”, pubblicato nella “Difesa della razza” (marzo 1938) sostiene che “gli spagnoli stimolarono la lotta contro gli ebrei, durante il periodo dell’inquisizione; e, fatto da rilevare che gli ebrei erano allora molto numerosi in Sardegna dove trafficavano e avevano due sinagoghe a Cagliari ed Alghero… I sardi cacciarono gli ebrei non per fanatismo religioso, ma perché avevano in odio quella razza di speculatori e usurari…”.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)