Nella splendida cornice delle rovine di Tharros, lo scorso venerdì 7 settembre, ha avuto luogo la rappresentazione dell’opera “I Shardana” di Ennio Porrino. Buona affluenza di pubblico, anche se inferiore rispetto all’importanza dell’opera e del suo autore. Il professor Giovanni Masala, che ha organizzato lo spettacolo in forma spartana, data la scarsità dei mezzi, e che pure ha conseguito un brillante risultato, ha dovuto constatare un’impalpabile ostilità all’opera di Porrino.
Si è andati da mancata esposizione delle locandine nei punti strategici di Oristano, al quasi totale silenzio del quotidiano “L’Unione sarda”, che ha relegato la notizia nella cronaca di Cabras, all’idiosincrasia di certi ambienti culturali che giudicano imperdonabile il fatto che Porrino abbia musicato nel 1944 l’inno della Repubblica Sociale Italiana. La cosa non ha meravigliato più di tanto.
A fronte di un musicista considerato secondo solo a Puccini e ad un’opera che è il capolavoro della lirica italiana del secondo Novecento, fa riscontro il pressoché totale silenzio che avvolge il musicista cagliaritano. Solo due, in cinquant’anni, le sue rappresentazioni nel Teatro lirico di Cagliari, nessuna in quello di Sassari. Eppure il grande musicologo tedesco Felix Kerlinger, innamorato della musica sarda, nel 1960 scriveva: “Porrino ha dedicato la sua opera ‘alla mia terra di Sardegna’ e questo è il dono più prezioso che egli potesse fare alla sua isola… “I Shardana” pare aver imboccato la strada giusta per diventare l’opera nazionale sarda per eccellenza“. In questo secondo dopoguerra, l’ostilità di certe cricche culturali dominanti, specie nel mondo accademico, si è palesata sopratutto nei confronti di quelle grandi personalità sarde che considerarono il popolo sardo “fedele custode di tutte le tradizioni della sua terra, la quale non tollera né invasioni territoriali né corruzioni spirituali”. Definizione che ritennero valida, non solo per la loro patria sarda, ma anche per la loro patria italiana, a cui rimasero fedeli per tutta la vita. Oltre che Porrino, Grazia Deledda, Giuseppe Biasi e tanti altri.
Leggendo una breve biografia di Porrino, si capirà facilmente perché si vuole la sua ‘damnatio memoriae’: nasce a Cagliari, il 20 gennaio 1910, da studente è collaboratore di “Sud-Est”, rivista del Guf cagliaritano; partecipa, come musicista, ai littoriali e, nel 1935 a Roma, viene proclamato littore per la musica; nel 1936, a soli 26 anni, ottiene, al teatro Costanzi di Roma, uno strepitoso successo col poema sinfonico “Sardegna”. Altre sue importanti composizioni ispirate alla Sardegna sono “Traccas” (1931), “Le tre canzoni italiane” (1939), “I nuraghi” (1952) e infine, a coronamento della sua vita, la grande opera lirica “I Shardana” del 1959. Mussolini, che di musica un po’ se ne intendeva, soleva dire: «I giovani musicisti Petrassi e Porrino mi sono nel cuore». Fu fascista convinto, anche se a modo suo e con spirito critico, dopo l’8 settembre aderì alla Rsi. A Venezia, Porrino partecipa alla produzione dei film editi a Salò, curando i commenti musicali di otto pellicole. Nel luglio 1944, al teatro della Scala di Milano, dirige una propria opera-balletto, “Canti di stagione”, mentre nel febbraio 1945, nell’ambito della stagione sinfonica, sempre alla Scala di Milano, viene rappresentato un altro suo balletto, “Mondo tondo”. Collabora anche alla stampa repubblicana: è critico musicale del settimanale “L’Ora”, diretto da Alberto Giovannini, mentre nella rivista “Film” tiene la rubrica “Colonna sonora”. Pubblica anche, il 13 maggio 1944, nella più prestigiosa rivista culturale di Salò, “Italia e Civiltà”, un articolo dal significativo titolo “Agli intellettuali e ai politici”.
Indubbiamente l’atto politicamente più rilevante di Porrino nella Rsi è la composizione di un inno nazionale, che sarebbe dovuto diventare l’inno ufficiale della Repubblica. Tutto ha inizio con una lettera che Stanis Ruínas invia in data 23 marzo 1944 al sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Francesco Maria Barracu: «Caro Barracu, un giovane musicista sardo, Ennio Porrino, maestro d’indiscusso valore, autore assai lodato d’opere rappresentate al massimo teatro di Roma e alla Scala, sta lavorando a un inno della Repubblica Sociale. Un gruppo di scrittori e poeti sta preparando le parole; io, che sono stato invitato a collaborare per la parte, diciamo cosi, poetica, non ho ancora sentito l’inno di Porrino, ma coloro che lo conoscono, ne sono entusiasti. A suo tempo, se non ti dispiace, ti farò avere la musica e le parole. Per ora desidero segnalarti l’iniziativa d’un autentico artista sardo destinato senza dubbio alle più alte vette. Ti abbraccio». La risposta di Barracu non si fa attendere e il 1° aprile arriva a Ruinas il seguente telegramma: «Pregoti darmi possibilità ascoltare musica inno maestro Porrino. Saluti. Barracu».
Porrino si reca a Milano e suona la sua composizione al pianoforte al suo conterraneo, Barracu ne è entusiasta: promette al musicista che il suo inno, “Marcia del volontario”, sarebbe stato pubblicizzato e ufficializzato: “Volontari torniamo alla guerra, s’è levato dai morti l’appello: esso invoca dal cielo alla terra per l’Italia il supremo lottar. Rialzeremo col nostro valore su l’astile la nuova bandiera, con un grido di fede e d’amore salutiamo il ritorno all’onore. In piedi, volontari, è l’ora del riscatto, avanti con la fede al giuramento fatto. Italia che rinasci per te saprem combattere, Italia sacra e libera per te vogliam morir. Non ci arresta il pensier della morte, siamo noi che forgiamo il destino. Risoluti affrontiamo la sorte per la Patria che eterna vivrà”.
Nel dopoguerra Porrino paga con l’epurazione la sua militanza a Salò: perde il posto al conservatorio di “Santa Cecilia” a Roma, epurato dal maestro Renato Fasano, che, dopo il 25 luglio 1943, diventa commissario del Conservatorio romano. Quel Fasano che, direttore del Conservatorio di Cagliari, fascistissimo, amava dirigere i concerti in divisa. Porrino si trova, per un lungo periodo, a vivere in condizioni assai disagiate, malgrado ciò rifiuta ogni compromesso con chi, in cambio della rinuncia alla sua fede politica, gli offre agiata sistemazione. Vive questa situazione con grande amarezza e, per l’ostilità che lo circonda, sentendosi esule in patria. Alla fine del 1946, Porrino assunse precise responsabilità civili e politiche partecipando alla costituzione del Movimento Sociale Italiano, dove militò sino a quando la morte non lo colse prematuramente il 23 settembre 1959.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)