"Una signora distinta mi ha fermato per strada chiedendomi un euro: assurdo nell'Italia che spende soldi per i migranti". Il post, pubblicato su facebook dall’ex presidente Cappellacci ha sortito reazioni contrastanti. Da una parte un numero considerevole di apprezzamenti, dall’altra l’accusa di fare – sull’onda di polemiche e contestazioni ormai all’ordine del giorno in ambito nazionale – del mero populismo.
Non interessa qui sondare l’effettiva empatia dell’ex Presidente per la situazione di difficoltà dignitosamente patita da quella e da tante altre concittadine. Ciò che lascia perplessi in questo piccolo risvolto isolano delle infuocate polemiche nazionali è l’inevitabile giudizio che colpisce chi si approccia con fare critico al problema dell’immigrazione massiva e dell’accoglienza degli stranieri. E la preoccupazione che simili esternazioni trovino ampio consenso: “.. Ma a preoccuparmi non è tanto Cappellacci quanto i 1728 (e oltre) mi piace (contro i soliti 70-80 sul suo profilo) che quel post ha preso." scrive su facebook Anthony Muroni, scatenando a sua volta i commenti pro e contro.
L'esasperazione di chi si riconosce nelle parole di Cappellacci viene ricondotta a “ignoranza”: non sono le risorse comunitarie destinate agli immigrati a impoverire gli Italiani. Con buona pace della pensionata, cittadina europea: sulle note stridule del ritornello ‘è l’Europa che ce lo chiede’ ha sofferto anche lei per l’austerity imposta dai governi tecnici; avrà figli o nipoti che patiscono la mancanza o la precarietà del lavoro (anch’essa – sotto le false parvenze di ‘flessibilità’ – impostaci da Bruxelles). Quale aiuto ha previsto per lei la comune casa europea?
Non è, invero, così balzana l’idea che, per dare a loro qualcosa venga tolta a noi: è di qualche mese fa la notizia che, nelle scuole pubbliche della nostra regione, gli iscritti nelle graduatorie per il personale Ata si son visti sorpassare da chi non ha titolo se non la preferenza accordata in sede comunitaria per la realizzazione di programmi di inclusione e integrazione. È sotto gli occhi di tutti l’assurda discriminazione fra le famiglie sarde a cui i figli vengono sottratti per motivi economici, rispetto a quelle famiglie straniere le cui madri vediamo giacere in terra per intere giornate, mendicando coi gli infanti in braccio, mentre i figli più grandi (sempre minorenni) si danno all'accattonaggio nelle vie attigue. Nessuno, tuttavia, può sollevare critiche e perplessità sul valore imprescindibile dell'aiuto e dell'accoglienza riservata a quei giovani che scappano dalle loro terre di provenienza in cerca di un futuro di dignità e rivalsa, salvo ritrovarsi a ciondolare pigramente, con i loro abiti casual e i loro smartphone, nell’assolata via Roma, facendo concorrenza agli oreri locali.
Stupisce questo stupore da anime belle, lontane dalle difficoltà quotidiane di molti concittadini, le cui difficoltà beneficiano di ben poca comprensione. Stupore che minimizza l'impatto sull'ordine pubblico e la sicurezza della presenza straniera in città e dei gravi fatti di cronaca che la riguardano, mentre esalta compiaciuto episodi che dovrebbero sbugiardare i pregiudizi dell'italiano medio. Basti pensare al racconto ironico e un po’ commosso di Francesco Abate, che si trova ad assistere alla scena di un extracomunitario che paga il biglietto dell'autobus, mentre gli adolescenti locali fuggono alla vista del controllore. Sembra a volte tornare il fascino del mito settecentesco del buon selvaggio, che si traduce oggi nel miraggio di una società multirazziale, bella e buona per definizione, come la suggestione dei manifesti alla ‘united colors’ di Oliviero Toscani prometteva.
Una società in cui sempre più trova spazio la solidarietà e la difesa del ‘diverso’, con buona pace del consimile che campa con 350 euro al mese.
Medusa
(admaioramedia.it)