Spunta una nuova clamorosa verità per la strage del Moby Prince. La racconta il libro “Il caso Moby Prince. La strage impunita” (domani in libreria, Edizioni Chiarelettere), scritto da Francesco Sanna, ideatore della campagna #iosono141, e Gabriele Bardazza, ingegnere forense: nel giugno 1991, dopo due mesi dall’incidente nella rada di Livorno, armatori, proprietari del carico ed assicuratori avrebbero firmato un accordo segreto, che rappresenta una «traduzione giuridica e assicurativa del mettiamoci una pietra sopra».
Il documento, trovato dallo Scico della Finanza e svelato dalla Commissione d’inchiesta parlamentare (istituita dal Senato nel 2015), sarebbe nato su iniziativa, durante una riunione a Genova il 18 giugno 1991, dei rappresentanti di Navarma (proprietà della famiglia Onorato), armatore del traghetto, Snam, armatore della petroliera, Agip, proprietaria del carico, e delle assicurazioni.
Il 10 aprile 1991, alle 22,25, il traghetto Moby Prince aveva speronato la petroliera Agip Abruzzo, ferma all’ancora e le due navi s’incendiarono. Un’ora e 20 minuti dopo l’equipaggio della petroliera veniva tratto in salvo, mentre 140 persone (tra i quali 30 sardi, compresi il comandante Ugo Chessa e sua moglie) rimaste a bordo del traghetto moriranno (si salvò solo un mozzo che si gettò in acqua da poppa). Da 28 anni, i familiari delle vittime ricercano la verità perché la verità stabilita finora nelle aule dei tribunali non sembra granché credibile, come è emerso anche dai lavori della Commissione parlamentare.
“Il 2019 è un anno pieno di speranze per la vicenda del Moby Prince, che ha distrutto la vita di 140 persone – aveva previsto a gennaio Luchino Chessa dell’associazione 10 aprile familiari vittime Moby Prince e figlio del Comandante – E che ha anche segnato quella di noi familiari, donne e uomini comuni, cittadini italiani, che chiedono ‘semplicemente’ di sapere perché una tranquilla e limpida notte di primavera si sia trasformata in una carneficina. La speranza è che si chiuda una volta per tutte una ferita aperta che ha martoriato il senso della democrazia del nostro Paese”.
Secondo la ricostruzione fatta dalla Commissione d’inchiesta parlamentare, l’accordo vale circa 70 miliardi di lire: Navarma (e i suoi assicuratori) dovevano risarcire i familiari dei passeggeri e dei membri d’equipaggio; Snam pagare i danni ambientali; nessuna poteva fare causa all’altra; insieme si obbligavano a stare insieme in giudizio qualora le famiglie delle vittime avessero citato una di loro. Il risarcimento ai familiari prevedeva la rinuncia a qualsiasi azione legale e sarà sottoscritto da quasi tutti gli eredi delle 140 vittime. L’aspetto più inquietante della vicenda, però, è che le parti avrebbero anche stabilito di attribuire la colpa dell’incidente ai membri (tutti morti) del comando del traghetto, decidendo che il Moby Prince, in uscita dal porto di Livorno e diretto ad Olbia, avesse speronato la petroliera a causa della nebbia. Una verità, certificata anche dalla magistratura in alcuni procedimenti penali, che, secondo gli autori del libro, è stata scardinata soprattutto dalla relazione finale della Commissione d’inchiesta parlamentare, arricchita da nuovi studi e nuove testimonianze: la nebbia fu immotivatamente utilizzata per giustificare il caos dei soccorsi. Perciò, la Procura di Livorno ha annunciato l’apertura di una nuova inchiesta: “Dal recente incontro con il procuratore capo Squillace Greco, ho percepito la sua voglia di capire e agire, se dagli atti della Commissione parlamentare di inchiesta si prefigurano delle ipotesi di reato ancora perseguibili”, aveva detto Luchino Chessa. (fm)
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