Nel primo ventennio del secolo scorso, era evidente con la Rivoluzione industriale, la fotografia e il cinema, che si stesse modificando la relazione tra la percezione dell’arte e lo sguardo dell’osservatore contemporaneo.
Questo, ovviamente, non avveniva a Cagliari, dove lentamente la Rivoluzione industriale alfabetizzava la comunità all’arte e le sue dinamiche. Alfabetizzazione artistica che a Cagliari non è mai avvenuta completamente. Benjamin, nel saggio che ha consegnato alla storia (“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”), comprese come il distinguo tra la borghesia e la massa passasse proprio attraverso il concetto di originalità e unicità dell’opera d’arte; per la massa c’erano la riproducibilità delle immagini e l’industria culturale. Cagliari è sempre stata una città artisticamente di massa e mai borghese nella percezione delle arti, oggi è l’isola della riproducibilità digitale dell’artista, artisti che si autodeterminano via social, senza nessuna base accademica, in un contesto senza radici del linguaggio, dove tutto si è fermato al seme dell’origine del linguaggio. Attenzione, il digitale e gli artisti che si riprodurranno all’infinito, non annienteranno i linguaggi dell’arte, ma ne limiteranno la ricerca, fermandosi ad attestare il valore dell’originale, citato sovente inconsapevolmente.
Il web, in questo millennio, ha già modificato le pratiche dell’arte, i linguaggi e le ricerche artistiche sono già fluidi e fuori controllo, fuori da qualsiasi quadro giuridico e commerciale. Nelle pratiche dell’arte contemporanea è la condivisione il sigillo dell’operazione culturale, rivoluzione che l’arte cagliaritana sembra non avere colto, presa così com’è da artisti che vivono facendo la guerra al loro prossimo. L’artista a Cagliari è come sempre, dal post nuragico, in ritardo con la storia, emula stili e artisti via social network, e nel nome di questo si convince di formarsi come autodidatta in maniera libera e autonoma. Cagliari vive l’illusione della cultura digitale come motore di sviluppo, gli artisti cagliaritani s’illudono che basti utilizzare il web per abusare del termine di autodidatta. L’autodidatta che si forma attraverso tutorial e video on line, senza una guida alcuna di percezione del contenuto del suo linguaggio, è figlio della sua visione stereotipata, vorrebbe emanciparsi, autodeterminarsi e rendersi autosufficiente attraverso il lavoro creativo, ma non lo sarà mai, non avrà mai gli anticorpi per comprendere che una ricerca e un linguaggio artistico per autodeterminarsi, necessitano oggi di una messa da parte dell’ego d’artista figlio del mercato dell’arte del secolo passato.
A Cagliari andrebbe abolito il termine autodidatta, perché è un termine che acquisisce senso dove la didattica esiste ed è possibile prenderne le distanze, ma senza un’Accademia di Belle Arti e un Maestro, di quale autodidatta si sta parlando? L’autodidatta cagliaritano è un ready made duchampiano, artisti che sono ruote di biciclette sul piedistallo dei social; merda d’artista di Piero Manzoni nella scatola digitale dei ‘mi piace’ alimentata dagli amici di famiglia. L’illuminismo a Cagliari non c’è mai stato, Napoleone è stato respinto, e con lui una lettura istituzionale e stratificata, della Storia dell’Arte come bene comune, regna una visione dell’arte utilitaristica dal punto di vista economico e commerciale. Ego-logia della rivoluzione digitale, senza nessun argine accademico, ha determinato l’effetto di riproduzione digitale di artisti che nascono remixati e contraffatti, sconnessi da un sistema di ricerca linguistica ed elaborazione comune più ampio dinanzi alla Storia.
L’artista cagliaritano brancola muovendosi in logiche determinate dall’industria artistica e culturale del secolo passato, quando nel resto del mondo, e nelle Accademie, si ragiona d’arte, didattica dell’arte e linguaggio artistico, come proprietà collettiva e comunitaria, come nel Medioevo e nelle forme di cultura artistica autoctona. Termini come Maestro e autodidatte sono nell’isola abusati ed altrove sono già frontiere e limiti superati che solo un’Accademia è in grado di regolare e modulare. Mercato e industria culturale, nel secolo passato, hanno illuso Cagliari che potesse fare a meno di una sua Accademia di Belle Arti. Eppure i cagliaritani, con Nivola, Sciola e Maria Lai, hanno naturalmente emulato modelli, modi di fare e riferimenti chiaramente e palesemente accademici. Il web e la rivoluzione digitale stanno mostrando invece come il motore dei linguaggi dell’arte sia nella conversazione dialettica e didattica, nell’imitazione che sa farsi partita linguistica condivisa, su questo si fondano i linguaggi dell’arte, per questo bisogna imporsi di ragionare sulla progettazione, programmazione e istituzione di un’Accademia a Cagliari, anche solo comunale o metropolitana.
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)