Mi disturbano gli artisti cagliaritani, sempre allineati, sempre non politicizzati, sempre timorati nel nome della poesia, dell’arte fine a se stessa e fuori dal tempo. Mi disturbano nel loro rincorrere le mode nel tempo in tutte le stagioni. Mi disturba vederli perdere tempo, inseguendo l’effimero nel nome di una sua presunta eternità e grandiosità. Mi disturbano quando non escono dal cliché della Dea Madre, dei bronzetti, dei giganti, delle maschere e di quanto siano belli i luoghi della propria terra a disposizione del turista.
Alcuni artisti cagliaritani mi disturbano più di altri, quelli che invocano la tecnica e che antepongono la forma al contenuto, che pittano o scolpiscono convinti d’avere grazia e invece hanno la stessa perizia del meccanico che cambia filtro e olio alla macchina. Mi paiono artisti da Terzo Reich di mercato, sembra che abbiano prelevato il concetto di lavoro, finto di liberarlo dalla maledizione biblica, e l’abbiano identificato con la loro attività artistica. Non hanno mai frequentato un’Accademia, che a Cagliari non è mai esistita, ma con saccenza si avvicinano correggendo gesti e posture, commentano gratuitamente con frasi tipo “così si fa” o “interessante”, parlano della loro relazione dell’arte nei termini del “il mio lavoro”. Urlerei loro che quello dell’artista non è un lavoro, come non lo è quello del poeta, quello dell’intellettuale e del libero pensatore. Artisti si è. Artista è chi ha la sensibilità per comprendere l’altro artista e non per stroncarlo gratuitamente per apparire. Artista non è qualcosa che uno fa per lavoro. Si è artisti per diritto, per diritto la dimensione dell’arte e dell’artista è sempre discutibile, e dal punto di vista culturale, e dal punto di vista economico.
Anselm Kiefer, il maggiore pittore vivente, al cospetto del quale, la Transavanguardia appare un evidente giochetto di pittori dilettanti armati di critico in cerca di fama, genio universale della pittura contemporanea dichiarò negli anni Ottanta, quando in Italia si dibatteva sul senso del ritorno alla pittura, che in realtà non era mai scomparsa: “Non mi identifico con Nerone o Hitler, ma devo ricreare un poco di quello che hanno fatto, per capire la follia. Per questo faccio questi tentativi di diventare fascista”. Capite quanto rigore serva per essere intimamente un artista, rispetto che giocare a farlo per lavoro? Capite cosa voglia dire con rigore Accademia, seguire l’indiscutibile e l’assoluto, con la consapevolezza che tutto è discutibile e dialettico nell’arte? I linguaggi dell’arte con rigore si muovono da soli, emulano, inseguano e superano la scienza, tramandano e divulgano dati e saperi che vanno oltre i numeri e gli oggetti di consumo. Non mi viene in mente nessun artista, che nel nome del ben fatto, non affronti le problematiche della vita, chi lo fa è sostanzialmente improduttivo e necessita di protezione. La pratica dell’essere artista (non del fare l’artista), è ricerca errante e intuizione, è visione di sistema e visione d’insieme della propria cultura posta in relazione con altre culture. Non c’è meta o celebrazione nel lavoro di un artista, non è il vernissage e la foto con il calice di vino bianco, sono dati sensoriali valutati dalla mente. L’artista non impone la realtà, diffida e per questo la scruta, sa in fondo che la sua arte, come la percezione della sua realtà, è un’effimera illusione a disposizione dell’umano.
Da studente d’Accademia prima, e da docente di Liceo Artistico dopo, ho sempre trovato ridicolo, dispersivo e inutile denunciare come artisti imitassero altri artisti, quando l’ho fatto, ho sempre giocato a farlo, perché se l’arte è un linguaggio, e dalle mie parti l’arte è solo linguaggio, non esiste imitazione o emulazione. I linguaggi circolano, si muovono, nascono in ogni parte del mondo, nello stesso momento, da 35.000 anni a questa parte, artisti simili con ricerche, idee e linguaggi simili, per questo trovo ridicoli gli artisti che si relazionano all’Arte come se stessero dettando rigide istruzioni per l’uso, una vita per l’arte non è proprio come montare un mobile acquistato da Brico. L’Arte è informazione immediata, così immediata che turba o disturba, semplice e alla portata di tutti, questo avviene perché il senso dell’arte è nel segno e nei segni dell’artista. Vorrei chiederlo a certi artisti cagliaritani se è possibile focalizzare l’arte. Vorrei chiedere a certi artisti cagliaritani dove si trovi l’Arte a Cagliari, dove l’Alta formazione artistica non è mai nata. Dove si trova Arte a Cagliari, alla Galleria comunale? Dove si trova Arte a Cagliari, all’Exmà? Dove si trova Arte a Cagliari, alla Fondazione Bartoli Felter? Quello che produce o ha prodotto un artista in vita, è sempre Arte? Chi decide se una persona è un’artista? Bastano a fare un artista due o tre curatori locali, che pretenziosamente si elevano a detentori di gusti e tendenze dell’Arte cagliaritana, prendendo atto dell’età anagrafica dell’artista che espongono?
Quello che so dell’Arte è che a me rende a tratti autistico nelle relazioni, che se di lavoro si tratta è sicuramente un bullshit job, non è bello essere costretti da se stessi a produrre senso tra i like dei social network. Non è bello abitare un’isola dove l’Arte sembra avere un valore che non pare sempre pubblicamente discutibile; una cosa soltanto è legittimata iconoclasticamente a distruggere l’arte, vecchia e giovane che sia, a prescindere dal valore economico e da dove sia esposta, ed è l’Arte stessa. L’Impressionismo ha smantellato gli accademismi, l’Espressionismo ha smantellato l’Impressionismo, tutti hanno accademicamente smantellato qualcuno per farsi Accademia e Nuova Accademia di genere. Questo avviene perché l’Arte reagisce agli stili imposti e dominanti, perché a Cagliari e in Sardegna questo non avviene? Perché mi sembra non ci siano quei meccanismi di distruzione e ricostruzione dell’arte che ne alimenta il valore nella comunità? Perché non c’è un’Accademia di Belle Arti da distruggere? Perché nessuno distrugge con il proprio linguaggio Costantino Nivola, Pinuccio Sciola o Maria Lai, ma, anzi, tutti emulano e si proclamano loro figli e allievi. Perché?
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)
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Angelo Liberati
Mimmo Di Caterino è un fiume in piena, in una situazione artistica semidesertica, ben vengano queste piene che scuotono, provano a scuotere – ma sarà operazione difficile caro Di Caterino, il terreno è solidificato da anni di malinteso radicamento territoriale e identitario – quanto opportunamente Di Caterino elenca e condanna. Le Accademie come tutte le istituzioni possono essere veicoli che portano progresso o il contrario, però, se esistono, allora devono essre fruibili da tutte le periferie dell’impero; quindi devono esserci. Anche per essere abbattute, diversamente si lascia spazio alle “creatività in libera uscita” che quando va bene non producono nulla, spesso producono la società dello spettacolo che a sua volta produce, non sempre per nostra fortuna, danni. Tempo permettendo cercherò di rispondere alla raffica di domande che Di Caterino pone. Con stima , Angelo Liberati