Il Presidente della Repubblica ha effettuato la sua visita istituzionale in Sardegna per celebrare il settantesimo anniversario dell’Autonomia sarda, accolto dal presidente Pigliaru e dai suoi predecessori, dalla Giunta regionale e dai consiglieri regionali nella sede consiliare di via Roma.
Poche le parole pronunciate – o meglio ‘riferite’ da Pigliaru – dal presidente Mattarella, ma incisive: il Capo dello Stato avrebbe assicurato la sua vicinanza all’Isola per le battaglie future che la riguarderanno da vicino, prima fra tutte quelle di vedere sempre più realizzati gli spazi autonomistici che lo Statuto, allegato alla Carta il 26 febbraio 1948, intendeva realizzare, ma che, per vari e plurimi motivi, non sono ancora stati attuati. Fra pochi giorni si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento e verrà decisa la sorte dei prossimi anni: da una parte lo scenario di una vittoria della coalizione di centrodestra, dall’altra lo spettro di lunghe consultazioni post-elettorali che vedranno il Presidente della Repubblica protagonista di una difficile mediazione tra gli schieramenti contrapposti, i quali dovranno assicurare comunque un Governo alla Nazione. In quest’ultimo caso, se cioè la maggioranza assoluta non fosse raggiunta dalla coalizione di centrodestra, gli spazi per (ri)discutere di autonomismo passeranno necessariamente in secondo piano, dovendo un esecutivo di larghe intese (qualunque esse siano) assicurare la gestione politica attraverso un accordo programmatico punto-per-punto. Sarebbe complicato trovare un accordo tra forze politiche storicamente divergenti sulla questione e, quindi, il rischio è quello di far slittare a tempi migliori (non prima di altri cinque anni) e con una maggioranza parlamentare meglio definita il discorso riguardante la maggiore autonomia della nostra Regione.
Lo scenario potrebbe essere, invece, sensibilmente diverso se il centrodestra dovesse risultare la coalizione che potrà esprimere il maggior numero di parlamentari alla Camera e al Senato: Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega e Noi con l’Italia non fanno mistero nel loro programma elettorale di prevedere la messa in cantiere di una riforma costituzionale volta alla trasformazione della forma di governo da parlamentare a semi-presidenziale e, in tale discorso, potrebbe anche rientrare la revisione del Titolo V della Carta per porre rimedio a quelle incongruenze scaturite dalla riforma del 2001: una su tutte, la maggior definizione dei confini tra Regioni a Statuto speciale e quelle a Statuto ordinario, resa troppo sfumata dall’intervento pasticciato del legislatore. Un dato importante è che la maggioranza dei sardi si sente italiana. Questo dato è importante e dovrebbe essere sempre più ricordato ed incentivato, nonostante le derive populiste di alcuni componenti degli schieramenti sardisti che appena qualche mese fa volevano cavalcare l’onda della dichiarata (poi annullata in maniera coercitiva dallo Stato centrale) indipendenza della Catalogna.
Le elezioni politiche del 4 marzo saranno il momento nel quale il popolo sardo potrà prendere coscienza e consapevolezza che sarà inutile, anche se romantico, esprimere preferenze a favore di chi non potrà avere voce in Parlamento per un’ovvia questione numerica. Dopo anni di desolazione, di mancate speranze, di obbedienza ceca ed assoluta allo Stato centrale (vedesi l’ampia cronaca sull’abbandono della ‘Vertenza entrate’ da parte di Pigliaru), tra pochi giorni i sardi potranno scegliere i propri rappresentanti nella ormai prossima XVIII Legislatura delegandoli a fare gli interessi dell’Isola. Non sarà l’ennesima occasione buttata se ci si sforzerà di comprendere i programmi dei diversi schieramenti e si valuterà in base non già a ciò che comanda la pancia, bensì ragionando con la testa.
Il miglior modo di celebrare l’autonomismo e i settant’anni di autonomia nostrana sarà quello di dotare il Parlamento di voci autorevoli e capaci di battagliare dagli scranni di Palazzo Madama e Montecitorio per il bene comune sardo, senza paura e senza che qualcuno dall’alto detti ordini sulla falsariga del mandato imperativo. In queste ultime settimane, tutti i Sardi hanno più o meno avuto modo di incontrare e di ascoltare personalmente i candidati, hanno stretto loro le mani, si sono confrontati con loro. Con quasi tutti, per la verità, visto che qualcuno non si è fatto neppure vedere e, a quanto pare, ha ricevuto ordine di non mettere naso fuori di casa. Sarà che questi signori hanno dimora in prossimità della luna e navigano negli oceani, ma questa prospettiva è già tutta un programma: chi non ha autonomia di gestire la propria campagna elettorale per incontrare i Sardi, come può promettere di combattere per un maggiore autonomismo?
Stefano Musu
(admaioramedia.it)