90milla firme, quelle raccolte dai Riformatori italiani, sono decisamente tantissime, trattandosi di numero ben superiore a quello minimo richiesto per dar vita ad un referendum propositivo regionale. Non c’è dubbio che il risultato vada oltre anche le più rosee aspettative degli stessi promotori e francamente anche delle mie, per cui non si può far altro che riconoscere onore al merito.
Chapeau quindi a Fantola, deus ex machina di questo partito tiepidamente autonomista e tanto di cappello ai suoi seguaci, che come da tradizione vengono mobilitati sempre e solo nei mesi che precedono gli appuntamenti elettorali che contano. Detto questo non c’è dubbio che il tema della oggettiva disparità di trattamento di noi cittadini sardi rispetto ai nostri dirimpettai d’oltretirreno sia profondamente sentito nell’isola e reale. Fatto quindi di problemi pratici vissuti quotidianamente e che de facto ci tarpano le ali in vista di un effettivo dispiegamento di tutte le potenzialità offerte dal nostro sistema economico. Nel breve termine questa iniziativa trova la sua genesi politica in una risposta ai plebisciti che gli elettori della Lombardia e soprattutto del Veneto hanno voluto riconoscere alle due proposte di allargamento a queste regioni delle prerogative sancite dall’articolo 116 della Costituzione: quelle che per il momento garantiscono solo a cinque regioni, tra cui ovviamente la nostra, “forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.
La possibilità che in virtù di questo ipotizzato futuro status quote particolarmente alte degli introiti fiscali dei due principali motori produttivi dell’Italia possano essere trattenute da Milano e Venezia e non invece prelevate da Roma, in vista di una redistribuzione tra le aree economicamente meno sviluppate, oltre che per il finanziamento alle attività esercitate dallo Stato centrale, è comprensibilmente ragione di allarme per chi abita in queste ultime (nel cui elenco siamo inclusi, speriamo ancora non troppo a lungo, anche noi). Proprio questo legittimo timore ha spinto i Riformatori a portare avanti la nuova iniziativa referendaria, che segue l’exploit dei dieci quesiti anticasta (il cui successo fu sostanzialmente dilapidato con le successive iniziative politiche del movimento).
Sul lato pratico la proposta ufficiale dei Riformatori è sostanzialmente quella di inserire nella Carta fondamentale della Repubblica una clausola che prevederebbe il riconoscimento del diritto che costi di energia e trasporti (per citare le voci più significative) sostenuti da cittadini e imprese sardi vengano sostanzialmente equiparati a quelli che gravano sui nostri concittadini di penisola e Sicilia, che sono di solito sensibilmente inferiori. Ben più verosimile è che sia però non già la Costituzione, quanto piuttosto lo Statuto speciale ad accogliere questo nuovo principio. La collocazione naturale di un aggiornamento di questo tipo non può che essere il titolo III, concernente finanze, demanio e patrimonio, presumibilmente in sostituzione dell’anacronistico e francamente imbarazzante articolo 13 che continua a fare riferimento a quel famigerato piano di rinascita economica e sociale che dal 1948 ad oggi non ha mai avuto compimento.
La critica che mi permetto di fare ai Riformatori italiani non è legata tanto alla bontà dell’iniziativa referendaria, quanto piuttosto alla possibilità molto realistica che una discussione e la successiva entrata in vigore di questa previsione possa costituire il pretesto da parte delle forze politiche attive su tutto il territorio dello Stato per non porre in essere una revisione più complessiva dell’autonomia speciale. Ci si potrà infatti dire: avete avuto il riconoscimento di quello che vi spettava, accontentavevi! Da qui la necessità che approfittiamo tutti dell’opportunità perché questa venga inserita in un’iniziativa più generale di revisione complessiva (ad avviso mio e di tantissimi altri dovrebbe essere radicale) di uno Statuto speciale ormai largamente anacronistico e quindi del tutto inadeguato ai tempi moderni, tale da coinvolgere tutte le forze politiche che hanno testa e cuore in Sardegna. D’altronde non era proprio questo il senso del più importante fra i dieci quesiti anticasta del 2012, quello concernente l’istituzione di un’assemblea costituente del popolo sardo?
Alessandro Dessì
(admaioramedia.it)