Parlare oggi, ottant’anni dopo, della fondazione della città di Carbonia (18 dicembre 1938) non è facile. Si rischia di cadere nella deriva apologetica di un regime, quello fascista, di un uomo, Mussolini e di una politica economica, quella autarchica. Oppure, al contrario, se si abbraccia la tesi utilitaristica ed economicista, constatare come gli ingenti capitali, totalmente pubblici, investiti in una delle lande più desolate della Sardegna, alla distanza, anziché generare sviluppo e benessere, abbiano visto il completo fallimento di quella industria mineraria, fiore all’occhiello del fascismo, e del configurarsi di una città la cui sopravvivenza è sostanzialmente legata ai cosiddetti aiuti di stato. Entrambe le tesi conservano una loro validità oggettiva, ma entrambe, di fronte ad un fatto ormai più che datato, è bene che lascino il posto all’analisi storica.
La storia di Carbonia parte da molto lontano, quando la creazione della grande industria e l’avanzata del lavoratore nella scena della storia premono affinché il XX secolo sia l’artefice di un nuovo umanesimo e di una nuova civiltà basata sul lavoro. Il lavoro non viene più considerato un semplice fattore della produzione, né un’attività di natura meramente privatistica, ma acquista rilevanza sociale. Il lavoratore non trova più come sola controparte il datore di lavoro, ma entrambi hanno a che fare con lo Stato che, a seguito della Prima guerra mondiale e della disastrosa crisi economica del 1929, obtorto collo, è costretto sempre più a intromettersi nel gioco dell’economia e della finanza. Cosa non facile per gli antichi stati liberali vissuti per secoli con il dogma della libera impresa, del libero commercio e del bilancio in pareggio. Diverso il discorso per lo Stato fascista, al tempo stesso autoritario e populista, che aveva gli strumenti, e se non li aveva era in grado di crearli, per poter incidere in maniera determinante sui processi economici e sociali. La crisi del 1929 si fece sentire in Italia a partire dal 1931, mettendo in ginocchio il nostro apparato industriale con un crollo della produzione del 50%, la perdita di un milione di posti di lavoro.
La crisi si manifestò in Sardegna in maniera ancor più pesante: le attività minerarie persero il 60% degli addetti e benché il settore fosse stato sostenuto dallo Stato con una legge ad hoc i fallimenti delle società minerarie furono innumerevoli. A fine 1932, fallisce la società carbonifera di Bacu Abis licenziando oltre 600 operai, ma la Federazione di Cagliari del sindacato fascista ordina agli operai di occupare la miniera e di continuare la produzione. Dirige la Federazione Vittorio Tredici, esponente di spicco del cosiddetto sardo-fascismo, primo podestà di Cagliari, successivamente presidente delle Ammi (Azienda mineral mettallurgica italiana). Il suo nome è ricordato con l’albero dei giusti, nel monte delle rimembranze di Gerusalemme, per aver aver salvato, nel 1943 durante la sua permanenza a Roma, una famiglia di ebrei dalla deportazione. Tredici si fa nominare curatore fallimentare dal Tribunale e, in poco più di 10 mesi, superando immense difficoltà, tra cui pure una alluvione, riesce a rimettere in sesto i conti della società. Cessata la gestione fallimentare, la miniera viene rilevata, per il prezzo di un milione di lire da una neocostituita Smcs (Società mineraria carbonifera sarda). In realtà, si tratta di una società costituita ad hoc dalla ben più potente Arsa-Carboni. La società madre ha sede a Trieste ed è in mano ad una figura molto nota del mondo industriale e finanziario triestino, l’ebreo Guido Segre. Il personaggio, già amministratore delegato della Fiat, ha le mani in pasta, servendosi di collaboratori per lo più ebrei, nelle più importanti aziende che hanno sede a Trieste. Per la sua spregiudicatezza finanziaria è molto mal visto, non solo dalla autorità di pubblica sicurezza, ma anche dello stesso partito fascista fin nelle sue più alte sfere.
I rapporti inviati a Mussolini contro di lui si sprecano, ma invano. Segre è la carta che Mussolini si appresta a giocare per il rilancio della politica carbonifera. Ma Segre non è certo una invenzione del Duce: chi gli suggerisce il nome è con tutta probabilità Alberto Beneduce, personaggio di assoluto rilievo nel panorama politico ed economico dello stato liberale di cui fu strenuo difensore sino al 1925, per poi diventare l’uomo chiave di un indirizzo finanziario e industriale completamente nuovo e originale rispetto ai precedenti, condizionati dal pensiero economico liberale e marxista, di cui però Beneduce utilizza al meglio gli aspetti più validi. Infatti, se per un verso fu strenuo sostenitore dell’intervento dello Stato nell’economia, anche nella forma più radicale della conduzione diretta delle imprese, dall’altro fu per una netta separazione tra quello che è la proprietà pubblica da quella che deve essere la sua gestione, rigorosamente ancorata ai principi privatistici e liberali che caratterizzavano le società per azioni. Detto indirizzo, portò nel 1933 alla creazione dell’Iri (Istituto ricostruzione industriale) e alla socializzazione del sistema bancario italiano.In realtà, Beneduce fu tutt’altro che fascista: politicamente fu seguace del socialismo riformista e democratico. Fu anche importante esponente della massoneria. Nel 1925, nel corso della crisi per il delitto Matteotti, fece di tutto, con altri esponenti democratici e liberali, per convincere il Re a scalzare, anche con la forza, Mussolini. Poi, però, il ruolo importante nella finanza (era, tra l’altro, presidente della Bastogi), le competenze dimostrate nella gestione di tante pubbliche istituzioni, l’indubbia capacità di far valere gli interessi dell’Italia nei consessi internazionali che discutevano di questioni finanziarie, lo portarono inevitabilmente ad avere rapporti con Mussolini, che del resto aveva espresso apprezzamento nei suoi confronti già quando Beneduce era ministro del lavoro, nel 1921, del governo Bonomi.
Tornando alle vicende di Carbonia. Il 9 giugno 1935, Mussolini è a Cagliari per salutare i fanti della divisione “Sabauda” in partenza per l’Africa Orientale. Nel pomeriggio trova il tempo per visitare la miniera di Bacu Abis. Dopo la visita comunica a Galeazzo Ciano: “Bisogna mettere in molto rilievo questa visita. Costituiremo un’Azienda Carboni Italiani sul tipo dell’Azienda Petroli Italiani“. Il 26 luglio, viene dato alla stampa un comunicato scritto personalmente da Mussolini: “E’ in corso di costituzione l’Azienda carboni italiani (Acai) allo scopo di potenziare i molti giacimenti di carbone minerale. L’Acai si baserà sulla fusione della società Arsae Bacu Abis e avrà carattere parastatale come l’Agip. A presiedere l’importante organismo è stato chiamato il commendatore Guido Segre di Trieste”.
Gli effetti operativi del nuovo ente incominciano a farsi sentire in Sardegna solo l’anno successivo. E’ a maggio 1936 il quotidiano L’Unione Sarda scrive: “Sotto l’impulso dell’Acai si sta svolgendo un metodico lavoro di ricerche nel territorio di Serbariu… Otto sonde, distanti duecento metri una dall’altra, frugano il sottosuolo da Barbusi sino al territorio di Palmas Suergiu… se i sondaggi riconosceranno la effettiva esistenza di vaste zone produttive… la produzione di questo bacino carbonifero potrà fornire molto rapidamente il 10/15% del fabbisogno nazionale e cioè oltre un milione di tonnellate…“. A questo punto non si tratta più di incrementare la produzione ma di creare una rete di infrastrutture comprendente case, strade, trasporti marittimi e ferroviari e quanto è necessario per la sistemazione di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. il regime scarta la scelta di costruire dei villaggi a bocca di miniera per rendere possibile l’afflusso di manodopera stabile, e opta per la costruzione di una vera e propria ‘città nuova’ sulla falsariga di Mussolinia e Fertilia. A progetto ultimato, nel 1942, risulteranno costruite 6.500 case per un totale di 24.000 appartamenti.
Il 10 giugno 1937 fu posta la prima pietra del comune di Carbonia. Il progetto della città è steso dagli ingegnere Cesare Valle e dell’architetto Ignazio Guidi. In poco meno di un anno, Carbonia fu edificata nelle sue parti essenziali da circa 5.000 lavoratori dell’edilizia, oltre i 10.000 impiegati nelle miniere. Il 18 dicembre 1938, Mussolini la inaugurava parlando dalla torre Littorio.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)