Il 27 aprile 2016 era il 79° anniversario della morte di Antonio Gramsci. Grande scandalo sulla stampa nazionale: non c’è stato nessuno, a parte il povero Fassina, che si sia degnato di manifestare un qualche omaggio alla figura del grande intellettuale sardo. Artisti, intellettuali, storici e politici che sul mito dell’intellettuale sardo “morto in carcere” avevano costruito la propria notorietà, venuto meno tale mito hanno preferito orientarsi verso personaggi mediaticamente più remunerativi, quali, per esempio, Papa Bergoglio.
Silenzio assoluto anche sullo storico che ha invece demitizzato non tanto Gramsci quanto i suoi interessati incensatori: Luigi Nieddu. Ma chi è costui? E’ un sardo di Sassari, assurto alla notorietà nazionale nel decennio 1965-75 con due opere: “Origine del fascismo in Sardegna” (Cagliari, 1964) e “Dal combattentismo al fascismo in Sardegna“ (Milano, 1979). Suscitarono violente e interessate polemiche in quanto ribaltavano la vulgata corrente sul sardismo e sul fascismo sardo. Estimatore di Gramsci e studioso del suo pensiero già dagli anni ‘50, nel 1990 pubblica a Cagliari il volume “L’altro Gramsci”, dove oltre a sfatare le tante leggende inventate dal Partito comunista, pubblica anche le lettere inviate da Gramsci, e non solo da lui, ma anche dalla madre e dalla sorella Teresina, segretaria femminile del fascio di Ghilarza, a Mussolini. Silenzio assoluto di tutta l’intellighenzia sarda. Ma Nieddu, da buon sardo cocciuto, tira avanti e pubblica, alla veneranda età di novant’anni “L’ombra di mosca sulla tomba di gramsci e il Quaderno della Quisisana” (Firenze, 2014). A quella data rimanevano in piedi del mito di Gramsci la fedeltà al comunismo e la morte avvenuta per emorragia celebrale.
La prima bomba che Nieddu fa esplodere è Gramsci morto per emorragia celebrale? Falso! La vulgata si basa su una relazione del 12 maggio 1937 di dodici pagine inviata dalla cognata Tatiana a Piero Sraffa, secondo Nieddu quasi sicuramente concordata e trascritta da una o più minute, stese nell’Ambasciata sovietica. Nieddu con dati di fatto e testimonianze inoppugnabili smonta tutta la narrazione di Tatiana. Rileva come l’atto di morte, stilato in data 28 aprile, non riportasse il fatto che il decesso era avvenuto nella clinica Quisisana. Quella denuncia di morte era irricevibile perché incompleta. Al cimitero di Roma non è reperibile l’autorizzazione al seppellimento e, ciò che più conta, neppure il prescritto certificato del medico necroscopo con la descrizione della salma che stava per essere infornata, con la doverosa indicazione della causa del decesso e la conseguente esclusione di ipotesi delittuose. Resta saldamente in piedi l’ipotesi di possibili responsabilità penali volutamente occultate anche con la sua cremazione. Gramsci non aveva predisposto la sua cremazione e non risultava cremato per esigenze igienico-sanitarie. Nessuno aveva titolo legale per farlo cremare, neppure i familiari. Se la cosa è avvenuta illegalmente, evidentemente si volevano far sparire le prove di un delitto.
C’è poi il mistero delle otto foto scattate sul cadavere di Gramsci, spedite immediatamente a Mosca. Di queste ne sono state rese pubbliche solo due, ampiamente manipolate, poiché ‘tagliano’ le gambe, per il semplice motivo che quelle gambe erano vistosamente rovinate da una caduta, certamente provocata, nel vuoto. A ciò Nieddu aggiunge che, dopo un convegno tenuto a Roma nel 2007 proprio sulle cause di morte di Gramsci, fra cui l’avvelenamento, pratica molto usata dai servizi segreti russi nei confronti degli oppositori di Stalin residenti all’estero, dalla casa-museo di Ghilarza sparirono alcuni reperti, fra cui le ciocche di capelli che avrebbero permesso di appurare o negare l’eventuale avvelenamento di Gramsci. Di qui l’amara conclusione di Nieddu: “L’esposizione e l’improvvisa scomparsa di foto manipolate […] e le ciocche dei capelli […] giustificano il più che ragionevole dubbio che Gramsci sia stato finito col veleno predisposto dal rappresentante dell’Nkvd (servizio segreto russo, nda) dell’Ambasciata sovietica di Roma e dallo stesso fattogli somministrare, molto verosimilmente, dalla sua poliedrica ‘traduttrice’ Tatiana per imperdonabili reati di opinione e per ‘lesa maestà’ di Giuseppe Bessarione (nome italianizzato di Giuseppe Stalin, nda)». Inutile aggiungere che, anche su quest’ultimo volume, non un rigo è stato scritto sui giornali o sulle riviste sarde.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)
8 Comments
webnauta59
RT @admaioramedia: Anno Gramsciano: i dubbi dello storico Nieddu sulla morte dell’intellettuale (Angelo Abis) https://t.co/5J02M6XnkA
Stefania Mereu
Stefania Mereu liked this on Facebook.
Cecilia Deiana
Cecilia Deiana liked this on Facebook.
Giuseppe Capurso
Giuseppe Capurso liked this on Facebook.
Enzo Puxeddu
Enzo Puxeddu liked this on Facebook.
Anna Rita Secci
Anna Rita Secci liked this on Facebook.
Francesca Canu
Francesca Canu liked this on Facebook.
Rosalba Serra
Rosalba Serra liked this on Facebook.